Il premier Berlusconi, all’indomani della morte del militare alpino in Afghanistan, si interroga sul senso della nostra permanenza nel Paese.

Ancora una vittima italiana soccombe sotto il fuoco afghano. Questa volta, ad essere preda del terrorismo, è stato il militare alpino Luca Sanna, 33enne di Oristano. Un infiltrato travestito da alleato gli si è avvicinato con fare amichevole, ha finto un guasto al fucile e, una volta giunto a distanza ottimale, gli ha sparato uccidendolo. Prima di darsi alla fuga e far perdere le sue tracce ha ferito un altro italiano ad una spalla. Un’altra tragedia che interroga e scuote la politica italiana, unita nel cordoglio.



A porsi delle domande sulla nostra permanenza in Afghanistan è lo stesso presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Che, parlando ai cronisti, ha detto: «Ci chiediamo se serve restare», sottolineando che l’esecutivo sta mettendo in campo una «strategia per il ritorno dei ragazzi». Tale possibilità è legata, con ogni probabilità, all’autosufficienza dei militari e dei poliziotti afghani: «stiamo addestrando le forze afghane – ha aggiunto il premier -. Speriamo che il governo afghano sia presto in grado di garantire la sicurezza e la stabilità con le proprie forze».



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Parole che non sono sfuggite al Pd, che tuona, per bocca di Emanuele Fiano Responsabile Sicurezza e Difesa del partito:«Sul senso, sulla durata e sulla qualità della nostra permanenza in Afghanistan occorrerebbe interrogarsi nelle sedi opportune ossia quelle parlamentari e non crediamo invece sia utile risolvere con una battuta in strada davanti ai giornalisti che mette in dubbio il senso della nostra permanenza lì», Secondo l’esponente democratico, «se il governo sulla nostra missione ha cambiato opinione venga a dirlo in Aula: instillare dei dubbi mentre i commilitoni di Luca Sanna rimangono sul fronte afghano a rischiar la vita ogni giorno non è serio».