Sarebbe stato un kamikaze a compiere l’attentato che ieri, alle 16.40 locali (le 14.40 in Italia), ha insanguinato l’aeroporto moscovita di Domodedovo, il più grande della Russia. Si tratterebbe, dai primi rilievi effettuati dalla forze dell’ordine, di un uomo di nazionalità araba che si sarebbe fatto esplodere con un quantitativo di tritolo compreso tra i 5 e i 10 chili. Almeno 35 i morti, 150 i feriti, tra i quali un italiano che non verserebbe in gravi condizioni. È la prima volta che il terrorismo, nel Paese, colpisce uno scalo internazionale. In quale contesto si è sviluppata la vicenda? E quale la firma dietro l’attentato? Lo abbiamo chiesto a Vittorio Emanuele Parsi.



Attualmente, secondo una delle ipotesi più accreditate, l’attacco è stato compiuto da un kamikaze dai connotati arabi. Si parla, quindi, di attentato di matrice islamica. Le cosa ne pensa?

È molto presto per riuscire a capire cosa ci sia in ballo veramente, anche se tutti hanno pensato a un attentatore ceceno. D’altra parte, in Cecenia iniziano a esserci infiltrazioni di militanti molto vicini ad Al Qaeda. Attualmente perciò l’ipotesi di un attentato di matrice islamica non è esclusa, anche se rimangono elementi di ambiguità tali per cui tutto è plausibile.



In quale contesto si è consumato l’attentato? Quali sono i principali focolai di tensione attualmente presenti in Russia?

La Russia ha, innanzitutto, un problema enorme con i nazionalisti ceceni e con le infiltrazioni di islamisti tra gli stessi nazionalisti. Lo stesso avviene in diverse repubbliche del Caucaso che gravitano attorno alla Cecenia. Stati a maggioranza ortodossa, con  minoranze islamiche molto incisive.
Esiste poi una situazione di forte conflittualità con la Georgia. Ad essa è collegata la conflittualità con l’Azerbaigian, per via del contenzioso con l’Armenia, alla quale la Russia, di fatto, ha dato il suo appoggio.
Infine, c’è un contrasto latente in Kirghizistan, dove le minoranze islamiste organizzate hanno saputo mantenere il potere, specie nelle valli a confine con Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan, scatenando la reazione della Russia.



Quanto è stato capace il fondamentalismo islamico di inserirsi nelle ferite preesistenti?

 

Non poco. Basti pensare che l’indipendentismo ceceno era nato come irredentismo locale, ed è stato, nei fatti, sempre più monopolizzato dalla conduzione militare e politica islamista.

 

Cosa rivendicano, in sostanza, i terroristi russi?

 

Il terrorismo che sta colpendo in Russia, specie quello di matrice islamica, in generale reclama la piena indipendenza delle repubbliche del Caucaso dalla Russia. Nel caso  della Cecenia una piena sottomissione degli avversari interni. Alcuni gruppi accusano poi la Russia di aver collaborato alla lotta contro le popolazioni islamiche, come quando appoggiarono i serbi nel conflitto bosniaco, o la Cina per contrastare il terrorismo islamico operante sul suolo del Paese orientale. La Russia, in pratica, viene vista dal terrorismo come tradizionalmente anti-islamista.

 

Che significato assume, dal punto di vista simbolico, compiere un attentato all’interno di uno scalo internazionale?

A pochi chilometri dallo scalo internazionale, c’è quello "domestico". Colpire Domodedovo trasforma, quindi, la vicenda in una questione internazionale. Il che mette la Russia sotto pressione, spingendola a un eccesso di reazione. Che, in buona parte, è proprio quanto i terroristi auspicano.

 

Nel marzo 2010 due attentatrici suicide provenienti dal Daghestan avevano causato 40 morti e 130 feriti facendosi esplodere nella metropolitana. Ci sono analogie tra i due attentati?

 

Le strategie terroristiche mirano a colpire nel mucchio per lanciare un messaggio. Tuttavia individuare una firma comune è difficile, senza che prima si siano riscontrati elementi tecnici comuni. 

 

Putin sosteneva che la Cecenia, oggi, è molto più stabile, perché governata da un presidente filorusso. È così?

 

Che sia più stabile di prima è vero, nel senso che i russi possono attraversarla più agevolmente rispetto al passato; ma tale stabilità è ben lungi dal rappresentare una pacificazione.

 

Quali ricadute avrà l’attentato sulla politica interna?

 

Bisogna ricordare che Putin ha costruito il suo potere sulla repressione, specie degli oppositori interni. Dai famosi oligarchi alla libera stampa. Ciò che, adesso, possiamo aspettarci è un ulteriore giro di vite nei confronti di tutte quelle manifestazioni di dissenso palesi.

 

E sulla politica internazionale?

 

Al momento è molto presto per dirlo anche perché la situazione internazionale è incerta, complicata da quanto sta accadendo in Paesi come la Tunisia, l’Algeria, il Libano o l’Albania.

 

(Paolo Nessi)