Dopo giorni di scontri anche violenti, e con l’esercito sceso in strada per cercare di fermare le manifestazioni, ieri ha finalmente parlato Mubarak, il presidente egiziano al centro delle dure contestazioni scoppiate in Egitto. L’atteso discorso televisivo è stato però giudicato troppo blando: ha promesso di riformare il governo mandando a casa ai ministri (cosa che è stata fatta con le dimissioni ufficiali di stamane), ha promesso anche riforme economiche.



“Ho ascoltato le lamentele e le sofferenze del popolo” ha detto sottolineando come le manifestazioni ci siano potute essere grazie alla libertà di espressione garantita in Egitto. Ma non transige sulla “linea sottile tra cosa e libertà”. Arrivando a insinuare ci sia un complotto straniero dietro alle sollevazioni di questi giorni: “Non permetterò al cosa di dilagare, non si raggiungono gli obiettivi con la violenza ma con il dialogo”.



Il tentativo di fermare le agitazioni da parte del presidente egiziano vuol dire coprifuoco imposto e presenza dell’esercito nelle strade. Misure che non hanno fermato, anzi, la protesta continuata tutta notte e ripresa ancor più massiccia stamane, almeno 50mila persone scese in strada. I carri armati circondano Piazza Tahir al Cairo, centro delle manifestazioni dei giorni scorsi. L’atteggiamento nei confronti dei militari è però ambiguo: molti fraternizzano concorro, stringono le mani, si fanno fotografare in posa sui carri armati. Sembra quasi che ci si attenda una mossa da parte dei generali al fine di deporre Mubarak.



Ad Alessandria oggi gli scontri più duri si parla di molti morti che farebbero salire il conto totale da quando sono cominciate le rivolte a quasi un centinaio. Al Cairo le ultime notizie parlano del palazzo del tribunale dato alle fiamme. Ieri intanto, appena tornato in patria, il premio nobel Elbaradei è stato posto agli arresti domiciliari.

L’uomo si era proposto come garante della transizione in caso Mubarak avesse accettato di andarsene, ed è visto come il simbolo di questa rivolta. "Mubarak deve andarsene – ha dichiarato l’ex direttore dell’Aiea, Nobel per la Pace e leader dell’opposizione in un’intervista a France 24. "Il presidente non ha compreso il messaggio del popolo egiziano e il suo discorso è stato del tutto deludente. Le proteste continueranno con intensità ancora maggiore finché il regime non cadrà. Oggi sarò in strada assieme ai miei colleghi per contribuire al cambiamento. Quando un regime si comporta con tale bassezza e usa gli idranti su uno che ha vinto il Nobel per la Pace, vuol dire che è l’inizio della fine e che è ora che se ne vada. Mubarak annunci le dimissioni, avvii la transizione verso democrazia, sciolga il Parlamento e indica elezioni democratiche".

A livello internazionale, se il presidente degli Stati Uniti invoca il rispetto della popolazione, le riforme democratiche, il sovrano saudita Re Abdallah ha espresso la sua solidarietà a Mubarak. E’ il primo capo di stato a prendere posizione a favore del presidente egiziano. Teheran invece sta dalla parte dei manifestanti. Il portavoce del ministero degli Esteri Ramin Mehman-Parast ha dichiarato che le proteste in Egitto sono in linea con "un’ondata islamica" che vuole "la giustizia". "La Repubblica islamica dell’Iran si aspetta che le autorità egiziane ascoltino la voce della nazionale musulmana dell’Egitto, vengano incontro alle sue giuste richieste ed evitino il ricorso alla violenza contro questa ondata islamica che si muove con il movimento del popolo".

Per l’eurodeputato egiziano residente in Italia Magdi Allam, dietro a Mubarak, uomo vecchio e malato, c’è l’esercito, e l’esercito adesso sta pensando con chi sostituirlo. "L’esercito in Egitto è fondamentale" dice Allam. "I militari sono una classe privilegiata l’unica forza che può tenere insieme la nazione più popolosa dell’area". La preoccupazione è perciò "se gli estremisti islamici dovessero assumere il potere in Egitto l’effetto sarebbe ancora più devastante di quello che ci fu nel 1979 con l’ascesa di Khomeini in Iran".