Inauguriamo oggi il diario dal Cairo di Tarek Yehya, che racconterà per ilsussidiario.net la situazione nella capitale egiziana durante l’insurrezione contro il presidente Hosni Mubarak. Di seguito la prima «lettera» di Yehya, in cui si racconta la situazione di forte tensione creatasi per il fatto che le autorità hanno annunciato di non essere in grado di garantire la sicurezza nel Paese.
Per chi vive al Cairo sono ore di paura. La polizia ha abbandonato la capitale, e sono rimasti soltanto alcuni agenti in borghese. E sabato pomeriggio la televisione ha diffuso la notizia di sciacallaggi e dell’evasione di diversi carcerati dalle prigioni. Le autorità hanno invitato tutti i cittadini a difendersi come meglio possono, in quanto lo Stato non è più in grado di garantire l’incolumità delle persone. Per questo motivo sono state organizzate diverse ronde di residenti. Nei quartieri più popolari girano dei gruppi, spesso composti da ragazzi molto giovani, armati di machete, mazze da golf e da baseball, con l’intento di difendere il quartiere. Ogni tanto si sentono dei colpi di arma da fuoco, sono i militari che sparano in aria per fare rientrare la gente in casa. Il coprifuoco è stato abbastanza efficace in tutte le vie secondarie, ma questo non ha fermato comunque i manifestanti che si sono ritrovati tutti nella zona di piazza Tahrir, a 500 metri da casa mia.
Domenica mattina sono stato al supermercato a fare la spesa. Nel Paese si sta diffondendo la psicosi perché si teme che la situazione possa degenerare. Si stanno creando lunghe file fuori da negozi e supermercati per fare le scorte, e verso le 14,30-15 gli scaffali si stavano svuotando. Internet continua a non funzionare, e Al-Jazeera è stata oscurata perché il nuovo vicepresidente, Omar Suleiman, ha ritenuto che fornisse notizie false. Usa e Turchia hanno chiesto ai loro cittadini che si trovano in Egitto di rimpatriare il prima possibile, mentre l’Italia ha rimandato la decisione a lunedì (oggi, ndr). Domenica mattina le messe sono state celebrate regolarmente, mentre quelle delle 18 sono state cancellate per via del coprifuoco. Durante le prediche i sacerdoti hanno parlato della situazione dell’Egitto, chiedendo a tutti i fedeli di pregare per il futuro del nostro Paese.
Uffici pubblici, aziende private, bar ed esercizi pubblici sono tutti chiusi. Anche la banca centrale ha chiesto a tutti gli istituti di credito di sospendere le attività per qualche giorno (di solito in Egitto il weekend dura dal venerdì al sabato, mentre la domenica è un giorno lavorativo, ndr). I pochi negozi che hanno alzato le saracinesche restano aperti solo fino alle 13,30. Domenica ho girato un po’ la città, sono andato verso la zona di Zamalek, quella più residenziale: si vedono i militari per strada con blindati e carri armati, a presidio del ministero degli Esteri e degli Interni e del Museo egizio. Per il resto si vedono tanti giovani con in mano machete, mazze e spranghe di legno, che fermano le macchine, guardano all’interno per capire se è gente conosciuta o meno, fanno un po’ di domande, soprattutto dopo il coprifuoco.
Anche una volta tornato a casa, affacciandomi dal balcone, vedo solo due portinai, uno armato di un bastone e uno di una specie di coltellaccio. Probabilmente sono misure esagerate, ma il riflesso della paura si fa sentire eccome. Domenica sera sono andato sull’isola in mezzo al Nilo, a casa di due mie amiche che mi avevano chiesto se potevo stare con loro perché si sentivano continuamente degli spari e avevano paura. In strada non c’era assolutamente nessuno, e faceva impressione perché di solito è una delle strade dove il traffico è più caotico e intenso a tutte le ore del giorno e della notte. A un certo punto oggi sono passati due o tre caccia che volavano molto bassi. Sulla tv egiziana continuano a essere trasmessi appelli alla calma e al rispetto del coprifuoco.
Nel corso delle interviste si continua a promettere che, se i manifestanti rientreranno nelle loro case, la corruzione sarà sconfitta e le cose cambieranno. Alle immagini delle proteste, e soprattutto alla repressione della polizia, è dato molto poco spazio. Insistendo piuttosto sul rischio delle devastazioni, sui bancomat distrutti, sui militari davanti ai ministeri. Solo Al Jazeera dava voce a chi chiedeva a Mubarak di andarsene e per questo è stata oscurata. Nel frattempo il governo ha cambiato strategia, facendo subentrare l’esercito alla polizia. Ci si è resi conto che la presenza della polizia non faceva altro che agitare la folla. Venerdì si era fatto di tutto per non fare arrivare i manifestanti in piazza Tahrir, per non dare l’idea della dimensione della protesta al Cairo. Cercando di fare sì che i manifestanti si spezzettassero in tante piccole aree del centro.
Da quando invece l’esercito ha preso in mano la situazione, è stato consentito ai contestatori di confluire nella piazza principale. Nell’immagine popolare inoltre la polizia è gente corrotta che prende le mazzette, mentre i militari sono considerati al di sopra di questi vizi. Ma c’è stato un fraintendimento: quando venerdì sera in Italia avete visto le immagini del popolo che festeggiava con i militari, è perché pensavano che l’esercito facesse il colpo di Stato ribellandosi a Mubarak. In realtà non è stato così. La sensazione che si ha qui in Egitto però è che probabilmente le manifestazioni di protesta continueranno fino a quando il presidente dirà chiaramente se intende o no dimettersi, o quantomeno se ci sarà una svolta molto forte. Senza un passo indietro deciso di Mubarak, si ritornerà agli scontri molto duri di due giorni fa.
(Tarek Yehya)