«All’origine degli attacchi ai cristiani in Egitto c’è una strategia del terrore che si basa su due livelli: una centrale internazionale, che programma gli attentati alle chiese di tutto il mondo, e la complicità delle comunità musulmane presenti nei diversi Paesi». A rivelarlo a Ilsussidiario.net è l’inviato di Avvenire, Luigi Geninazzi, secondo cui l’obiettivo dei fondamentalisti è «eliminare i cristiani dal Medio Oriente o, dove non è possibile, rinchiuderli in alcuni ghetti, proprio come avevano fatto i nazisti con gli ebrei». Per interrompere questa escalation – sottolinea l’esperto – è indispensabile il ruolo della società civile islamica, che instaurando un rapporto di rispetto reciproco con i cristiani può fare in modo che i terroristi islamici rimangano isolati.
Il giorno di Capodanno, il Papa ha parlato di «una strategia di violenze che mira ai cristiani». C’è davvero una strategia dietro agli attacchi alle chiese?
Ci sono due fattori che si intrecciano. Uno legato alle situazioni locali dei diversi Paesi, dove da diversi anni esistono attriti tra cristiani e musulmani. E uno completamente nuovo, che costituisce il «salto di qualità» del terrorismo internazionale: una strategia operativa formulata a livello centrale che ha deciso di colpire i cristiani e lo dice apertamente. Mentre in Iraq mira a costituire lo Stato islamico, in Egitto vuole fare piazza pulita di una «minoranza» di otto milioni di cristiani copti, presenti nel Paese da duemila anni. Ma è indispensabile non separare gli attacchi alle chiese di Iraq, Egitto e Nigeria: c’è una connessione tra tutti questi attentati e, al di là delle differenze, si tratta di un unico fenomeno.
Fino a che punto le persecuzioni dei cristiani in Medio Oriente sono una novità?
Nella misura in cui il terrorismo internazionale ha optato per un «salto di livello». C’è una centrale operativa che ha deciso di combattere i cristiani come una volta si assalivano i militari americani in Iraq o Afghanistan. E’ la stessa centrale che ha deciso di colpire la chiesa di Alessandria d’Egitto. E questo è molto preoccupante, perché i fondamentalisti islamici hanno trovato il modo per loro più semplice di toccare il cuore della civiltà occidentale, nei suoi nervi più sensibili e scoperti.
E qual è l’obiettivo di questa strategia?
Ridurre, epurare o far sparire i cristiani dal Medio Oriente. E se questo progetto non potrà essere realizzato in modo completo, i terroristi puntano a ridurre a diminuire il numero dei cristiani e soprattutto, questa è la cosa più grave, chiuderli in un ghetto. Se mi si permette di fare un paragone, è quello che è stato fatto dai nazisti con gli ebrei.
Una sorta di «soluzione finale» hitleriana…
Lo si vede molto bene in Iraq, dove il progetto è che l’intera comunità cristiana debba essere trasferita nella piana di Ninive. L’obiettivo ufficiale è proteggerli, ma nello stesso tempo è un modo per ghettizzarli, trasformandoli in una comunità che non conta più nulla nella società civile. Mentre i cristiani in Iraq sono sempre stati un fattore di civiltà, di crescita, di sviluppo anche economico, e soprattutto di dialogo e di tolleranza.
Ma perché i cristiani del Medio Oriente danno così fastidio?
Perché sono percepiti da tutti come un elemento «spurio», nessuno li riconosce come «propri». Nei Paesi dove vivono sono perseguitati dai musulmani che li considerano come la quinta colonna dell’Occidente. Mentre in Europa e America sono sempre stati guardati con sospetto da una certa intellighenzia di destra, che li vede come filo-islamisti, teneri nei confronti dei musulmani e critici verso gli Usa. Regis Debray, un intellettuale francese con un passato da rivoluzionario castrista, ha scritto di recente che «i cristiani del Medio Oriente sono l’angolo cieco della nostra visuale del mondo». Mi auguro che dopo queste tragiche vicende escano dall’ombra e diventino il punto di partenza per capire che cosa sta accadendo nel Medio Oriente e più in generale nel nostro mondo.
Come dovrebbe reagire l’Occidente agli attacchi?
Noi cristiani europei dovremmo renderci conto che mentre viviamo il cristianesimo senza rischiare nulla, ci sono popolazioni che per andare alla Messa di mezzanotte rischiano la vita. E questo dovrebbe fare scattare una grande solidarietà per dei fratelli che sono sempre stati dimenticati, ignorati o considerati di serie B. I governi dei Paesi occidentali inoltre non possono permettere che questi attacchi si verifichino senza intervenire: farlo non è assolutamente un’ingerenza. Ricordo che quando ci furono i disordini di Rosarno, il governo egiziano intervenne con una nota ufficiale dicendo che non si dovevano colpire gli immigrati di religione musulmana. Eppure non c’erano praticamente egiziani coinvolti.
Chi sono i potenziali alleati dei cristiani nei Paesi musulmani?
In primo luogo, dovrebbero essere gli stessi musulmani a capire che questa guerra contro i cristiani si ritorce anche contro di loro. I cristiani sono sempre stati una presenza di pace, prosperità e tolleranza. Inoltre, eliminarli dai Paesi del Medio Oriente significa ridursi a quella logica monoculturale, per cui ogni Paese ha la sua cultura, la sua religione, la sua razza. E’ proprio quello che i musulmani vorrebbero evitare in Occidente.
E quale può essere il ruolo di questa presa di coscienza della società civile musulmana?
E’ l’unica possibile via d’uscita dalla situazione che si sta creando in Medio Oriente. Il guaio è che il fondamentalismo islamico, in Iraq ma anche in altri Paesi, può contare sul sostegno di ampi settori della società civile che sono conniventi o comunque indifferenti agli attacchi ai cristiani. Se si riusciranno a isolare i terroristi, rendendo loro la vita più difficile, dipenderà invece soprattutto dalla capacità di creare un tessuto sociale basato su amicizia, rispetto e sostegno reciproco fra musulmani e cristiani.
(Pietro Vernizzi)