Molto più e molto prima che in Brasile, è piuttosto in Francia che si devono ricercare le ragioni oscure del fatto senza precedenti accaduto a Brasilia alla fine dell’anno appena trascorso: la decisione presa dal presidente Inácio Lula da Silva, a poche ore dalla fine del suo mandato, di respingere la richiesta di estradizione in Italia del criminale e terrorista “rosso” Cesare Battisti, fondatore dei Proletari Armati per il Comunismo, condannato con sentenza definitiva all’ergastolo per quattro omicidi e altri crimini perpetrati tra il 1978 e il 1979.



Evaso dal carcere ove era stato recluso in Italia, Battisti nell’ottobre 1981 si era rifugiato in Francia, dove aveva ben presto trovato ampie protezioni sia nel mondo delle istituzioni che in quello dell’intellighenzija. In seguito si era spostato in Messico, per poi tornare in Francia dove all’inizio del 1991venne arrestato a seguito di una richiesta di estradizione avanzata dal governo italiano, che però la Chambre d’Accusation di Parigi respinse nell’aprile di quello stesso anno.



Si era ai tempi della presidenza del socialista Mitterand, il quale riconosceva senza difficoltà lo status di rifugiato politico agli italiani che si rifugiavano in Francia per sfuggire a mandati di cattura per terrorismo e per complicità con gruppi terroristici. Si formò così a Parigi un circolo di latitanti in fuga dall’Italia che da allora non si è estinto, e che si calcola possa comprendere a tutt’oggi una trentina di persone.

Seguirono anni nei quali Battisti, protetto da noti intellettuali francesi tra cui lo stesso Bernard-Henri Lévy, si accreditò come uomo di lettere pubblicando una rivista e dei libri, uno dei quali presso Gallimard, editore francese tra i più importanti. Il 10 febbraio 2004 venne però arrestato una seconda volta a seguito di una nuova richiesta di estradizione da parte del governo italiano. Il presidente francese del tempo, Jacques Chirac, annunciò che non si sarebbe opposto alla sua estradizione. Lieto di averlo saputo, Battisti fuggì allora indisturbato dalla Francia rifugiandosi in Brasile grazie a un passaporto che, secondo quanto non esitò a dire al suo arrivo nel paese latino-americano, gli era stato fornito dai servizi segreti francesi.
 



Sparì poi subito dalla circolazione fino a quando nel 2007 venne rintracciato dai Carabinieri italiani a Copacabana e poi arrestato dalla polizia brasiliana. Seguì una richiesta di estradizione da parte del nostro governo, poi una decisione a ciò favorevole della Corte suprema del Brasile e infine la scelta di Lula di ignorare la pronuncia della Corte e prestare invece ascolto all’appello a favore di Battisti firmato dal premio Nobel per la letteratura Gabriel García Marquez e da circa 500 intellettuali e esponenti di organizzazioni non governative brasiliane.

Mi è parso utile ripercorrere qui la vicenda in dettaglio poiché aiuta a capire di quante, quali e quanto diverse protezioni abbia fruito e fruisca questo personaggio. Non c’è bisogno di sapere con esattezza da dove gli vengano. Per parte mia non lo so, non penso che mi sarebbe facile saperlo, né in fondo credo che ne valga la pena. Un così intricato e oscuro nodo di Gordio, denso di giudizi equivoci e certamente di complicità inconfessabili, non si può snodare. Si può invece cercare di tagliarlo con una forte mobilitazione della parte più responsabile e meno compromessa dell’opinione pubblica internazionale.

È evidentemente ciò che adesso prova innanzitutto a fare Berlusconi, portando alla ribalta i parenti delle vittime di Cesare Battisti e in particolare il figlio dell’orefice Torregiani che, ferito durante la rapina in cui suo padre restò ucciso, vive in carrozzina da allora, ossia da quando aveva quindici anni. Questo è un lodevole fatto nuovo: sin qui i parenti delle vittime dei terroristi “rossi” venivano tenuti nell’ombra secondo una prassi perversa e assai sospetta cui la stampa e la Tv italiane si sono orientate sin dagli “anni di piombo”. Speriamo che tutto ciò aiuti ad aprire gli occhi di molti sia di qua che di là dell’Atlantico. A poco invece servirebbero boicottaggi e sanzioni commerciali in primo luogo perché in realtà sono impraticabili e comunque controproducenti, e in secondo luogo perché in un caso di genere l’appello alle coscienze della gente comune può fare di più, per quanto possibile, di quello alle coscienze dei potenti.

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