I gruppi estremisti hanno dichiarato di essere pronti a colpire nuovamente i copti, che ieri hanno celebrato il Natale. E ovunque nel mondo, dove ci sono comunità copte, l’allerta questa volta è massima, Egitto compreso. Ma a fare più scalpore sono le dichiarazione del grande imam di Al Azhar, Ahmed Al Tayyeb, che ammonisce il Papa invitandolo ad essere più cauto.
Teme l’imam, infatti, come ha dichiarato ieri in un’intervista al Corriere, «che le parole di Benedetto XVI possano creare una reazione politica negativa nell’Oriente in generale, e in Egitto in particolare». Un’intervista che arriva a distanza di tre giorni come una precisazione alle parole ancor più severe dell’imam, pronunciate in risposta all’Angelus di Benedetto XVI del 2 gennaio.
Davanti a questa strategia di violenze che ha di mira i cristiani – aveva detto Benedetto XVI all’Angelus -, e ha conseguenze su tutta la popolazione, prego per le vittime e i familiari, e incoraggio le comunità ecclesiali a perseverare nella fede e nella testimonianza di non violenza che ci viene dal Vangelo. Penso anche ai numerosi operatori pastorali uccisi nel 2010 in varie parti del mondo…»
Quella del Papa è «un’ingerenza, un intervento inaccettabile negli affari dell’Egitto». «La sua – così aveva replicato l’imam – è una visione sbilanciata su musulmani e cristiani che rischiano di essere uccisi in tutto il mondo. Perché non ha chiesto la protezione dei musulmani quando erano massacrati in Iraq?». Parole che hanno suscitato sorpresa negli ambienti vaticani, se si pensa che il messaggio del Papa era tutto improntato al diritto alla libertà religiosa e alla preghiera per i fratelli cristiani.
Wael Farouq, professore all’Università americana del Cairo, condivide in pieno l’appello del Santo Padre alla libertà religiosa.
Com’è la situazione al momento in Egitto, dopo i momenti di tensione dei giorni scorsi?
«Adesso le cose cominciano ad andare meglio. Grazie a Dio negli ultimi giorni migliaia di cristiani e di musulmani sono scesi in strada per condannare e rifiutare quanto successo la notte di capodanno ad Alessandria d’Egitto. È un importante segnale di speranza».
Di chi sono secondo lei le maggiori responsabilità?
«Il maggior responsabile di quanto successo ad Alessandria e di quanto sta succedendo in Egitto è il governo egiziano. I cristiani sono scesi per strada a urlare la loro rabbia contro il governo, non contro gli islamici. I cristiani sono arrabbiati perché il governo, la burocrazia del governo egiziano, non li protegge; perché le loro richieste non vengono accettate. Non c’è rabbia verso gli islamici da parte dei cristiani».
Non ritiene dunque che ci sia una sorta di strategia internazionale per attaccare i cristiani che vivono nei paesi a maggioranza islamica?
«Io non posso parlare di quanto accade in altri paesi, posso parlare solo di quanto succede in Egitto. Quello che io posso dire, e confermo ogni parola di quanto dico, è che la maggioranza dei musulmani egiziani non sanno neanche immaginare un Egitto senza i cristiani. Se andate a guardare su Internet, ad esempio su Facebook, vedrete che esiste un movimento con migliaia di aderenti musulmani che dichiarano la loro solidarietà e il loro affetto nei confronti dei cristiani. Questi musulmani hanno dichiarato di essere pronti a difendere con i loro corpi le chiese cristiane in Egitto».
Come si spiega allora quanto è accaduto?
«È vero che c’è una contraddizione in atto oggi in Egitto, una contraddizione che è venuta a formarsi negli ultimi anni. Tale contraddizione si è potuta manifestare nelle sue conseguenze più negative grazie al governo: è stato il governo che ha permesso ai fanatici di avvelenare la società con le loro idee estremiste. I martiri che ci sono stati ad Alessandria d’Egitto, e li chiamo proprio così, martiri della fede, non sono stati uccisi da attacchi suicidi. Sono stati uccisi dalle parole di questi fanatici, che allo stesso modo in cui attaccano i cristiani intendono attaccare i liberali moderati musulmani. Anche noi liberali moderati abbiamo la nostra responsabilità, anche noi abbiamo permesso a questi fanatici di andare in televisione, avvelenando le idee della gente».
Ma qual è esattamente la «contraddizione» di cui parla?
«Il fatto che lo scontro fra le religioni in Egitto ha in realtà due facce. Mentre si scontrano due comunità, le singole persone continuano a vivere in unità e fratellanza. In breve: la relazione fra comunità è cattiva, la relazione fra i singoli è buona. Ma è questo che eviterà all’Egitto di diventare un altro Libano o un altro Iraq: la presenza di migliaia di musulmani pronti a difendere i cristiani dagli attacchi terroristici. È quello che abbiamo potuto vedere al Meeting del Cairo: cristiani e musulmani hanno lavorato uniti per creare qualcosa in amore e amicizia, per creare uno spazio di dialogo fra loro».
A proposito di Meeting del Cairo: che sfide ha posto alla società egiziana?
«Il Meeting del Cairo è stato un grande evento di speranza che rappresenta un’assoluta novità in Egitto. Una cosa come il Meeting è ciò che oggi ci dà speranza. Grazie ad esso è stato dimostrato che creare uno spazio libero di incontro è possibile. Non è più un’utopia, è una realtà. Questo è ciò che può liberarci dagli stereotipi di cui è infarcita la nostra società, dall’ignoranza che alimenta il fanatismo. Un momento di eccezionale importanza è quello che ci è stato testimoniato con la presenza al Meeting di Abdel Fattah Hasan, membro dei Fratelli Musulmani, il quale proprio in questi giorni ha dichiarato in una intervista di essere pronto ad andare di persona a difendere le chiese cristiane in Egitto. Se un fatto come questo accade, è grazie al Meeting del Cairo. È la dimostrazione che si può lavorare e cambiare insieme».
Nel suo messaggio per la pace, Benedetto XVI ha detto: «La libertà religiosa, come ogni libertà, pur muovendo dalla sfera personale, si realizza nella relazione con gli altri. Una libertà senza relazione non è libertà compiuta». Cosa ne pensa, come musulmano?
«Sottoscrivo tutto quello che ha detto il Santo Padre. Se non vivi nella libertà religiosa, non sei neanche in grado di vivere, non sei in presenza del vero te stesso, non sei attaccato alla realtà della tua natura. C’è un detto nella nostra tradizione islamica: Dio ha creato la gente diversa perché si possa incontrare. Differenti nei colori, nelle razze, nelle religioni. Ma Dio ci ha fatti così perché la differenza è il volto della conoscenza, e deve esserci un motivo nel fatto che gli opposti si incontrano. Io non potrei vivere allo stesso modo se non ci fossero i cristiani in Egitto: come musulmani siamo orgogliosi di loro, orgogliosi del ruolo della Chiesa nella storia del nostro paese».
(Paolo Vites)