“I morti di domenica al Cairo non sono stati provocati da un conflitto religioso tra cristiani e musulmani, ma tra alcuni manifestanti e l’esercito. Quello in corso nel nostro Paese non è quindi uno scontro di natura religiosa, bensì il frutto della difficile transizione che sta attraversando l’Egitto dopo Mubarak”. Ad affermarlo è Abdel Fattah, esponente di spicco dei Fratelli musulmani e professore di Letteratura italiana all’Università del Cairo. L’ex parlamentare egiziano, intervistato da Ilsussidiario.net sugli scontri nel quartiere di Maspero, spiega che cosa ha portato all’uccisione di 36 persone durante una manifestazione organizzata dai cristiani. Dialogando, e in parte trovandosi idealmente in linea, con l’analisi di padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica che sottolinea: “Quanto avvenuto domenica non lo considero il frutto di un problema tra cristiani e musulmani, bensì tra cristiani e militari. I comuni musulmani non c’entrano nulla con la strage avvenuta al Cairo”.



Professor Fattah, come commenta la strage avvenuta domenica?

Di fronte a quanto è avvenuto dobbiamo essere saggi e soppesare ogni singola parola per evitare di gettare altra benzina sul fuoco che rischia di devastare il nostro Paese. Considero infatti quanto avvenuto domenica innanzitutto come una minaccia contro la mia patria. Ed è la prima volta che l’Egitto si trova di fronte a una minaccia così grave, perché quella varcata domenica è una linea rossa che non si doveva oltrepassare. Islamici e copti in questa fase devono mostrarsi più saggi che mai. Noi Fratelli musulmani stiamo parlando alla nostra gente per calmarla, convincendola che questa difficile fase transitoria passerà e che quindi dobbiamo essere all’altezza delle prove che ci attendono.



Qual è l’origine di questa nuova esplosione dell’odio religioso in Egitto?

Cristiani e musulmani egiziani sono tutti uguali. Quanto avvenuto domenica non è un conflitto religioso tra cristiani e musulmani, ma tra manifestanti ed esercito egiziano. Quanto avvenuto quindi non c’entra nulla con la religione. I cristiani stanno avanzando delle richieste lecite e noi Fratelli musulmani sosteniamo i loro diritti. Riteniamo quindi che i cristiani non siano stati i responsabili diretti di quanto è avvenuto domenica, perché sappiamo che i copti amano la patria esattamente come i musulmani. Anche se purtroppo ci voleva maggiore prudenza per evitare che tra le file dei manifestanti pacifici si infiltrassero dei delinquenti.



Che cosa intende dire?

Il problema è che i cortei come quello di domenica sono un’occasione d’oro per i fuorilegge che hanno scatenato i tumulti. E che di fatto sono mossi da elementi dell’ex regime di Mubarak, che non vedono l’ora di distruggere tutti i risultati della rivoluzione del 25 gennaio. Alcuni di loro si sono mescolati ai manifestanti e hanno sparato all’esercito ammazzando alcuni soldati. Il compito dei cristiani però è individuare e consegnare le persone che hanno commesso dei reati conto l’esercito.

 

Ma lei ritiene davvero che gli organizzatori del corteo conoscessero gli infiltrati?

 

I cristiani in realtà sostengono che la loro manifestazione era pacifica, e che all’improvviso in mezzo a loro sono spuntate delle persone che hanno sparato, catturando e rapendo un soldato e dando avvio all’escalation. A quel punto tutti avrebbero incominciato a sparare, ma per i manifestanti chi ha dato inizio a tutto non c’entrava niente con loro. Proprio per questo, nel corso delle indagini saranno ascoltati i cristiani in quanto testimoni oculari, per consentire loro di spiegare le circostanze e la situazione che hanno portato a questo problema che speriamo, a Dio piacendo, possa essere presto risolto.

 

Lei condivide il modo con cui i militari stanno gestendo la transizione in Egitto?

 

L’esercito ha una funzione sacra: difendere la patria e le frontiere. Dopo la caduta del regime totalitario di Mubarak, i militari si sono trovati costretti a guidare la fase della transizione, che non è il compito che normalmente spetta loro. E’ inevitabile quindi che governando il Paese commettano degli errori, perché i generali come è risaputo non sono degli angeli. L’importante però è che noi come politici discutiamo e facciamo posto al dialogo, per raggiungere quei compromessi senza dei quali il nostro Paese non si può risollevare. Gli uomini dell’esercito non saranno mai dei politici al 100 per cento, anche se da febbraio hanno assunto la responsabilità di tutto il Paese.

 

Ma il loro obiettivo è favorire o bloccare il cambiamento in corso in Egitto?

In base agli strumenti a loro disposizione, il Consiglio militare e il governo stano cercando di cambiare l’Egitto. Quando i generali sbagliano, noi Fratelli musulmani glielo facciamo sempre notare. Però è indispensabile che queste osservazioni non esacerbino gli animi, ma siano fatte attraverso dei comunicati dei partiti o delle visite al Consiglio militare. Dobbiamo trovare tutti insieme un itinerario logico e moderato, invece di ricorrere continuamente alle manifestazioni.

 

Lei non era favorevole alla manifestazione di domenica?

 

Io ritengo che se si verifica un problema ad Assuan, come è avvenuto in questi giorni, o in qualsiasi altra città dell’Egitto, non sia il caso di portarlo al Cairo: se è un problema locale, deve restare tale. Non è una cosa logica che, per qualsiasi difficoltà di una parte o dell’altra del nostro grande Paese, si venga a bloccare il Lungo Nilo, cioè la strada più importante della Capitale. Tutti i diritti e tutte le richieste, come dicevo, sono garantiti, ma il modo di rivendicarli può essere più o meno opportuno.

 

L’Egitto sta passando momenti difficili. Come vede il suo futuro?

 

A Dio piacendo, passerà questa fase, così come è passata in tutti i Paesi che si sono liberato dalle tirannie o dalle dittature. Basti pensare all’Europa, e soprattutto all’Italia, dopo la Seconda guerra mondiale. Noi Fratelli musulmani siamo ben consci della natura della fase politica che il nostro Paese sta attraversando, e quindi insistiamo affinché l’Egitto sia protetto da queste discordie interne. Noi come musulmani e come cristiani vogliamo soltanto la parità reciproca.

 

(Pietro Vernizzi)