Un “patto col diavolo” che renderà Hamas più forte? Per strada vince comprensibilmente l’entusiasmo, anche se le voci della stampa israeliana si sono ampiamente interrogate sulle implicazioni di un compromesso atteso ma difficile. Più di mille palestinesi per la libertà di Gilad Shalit, il soldato israeliano che oggi torna a casa dopo cinque anni nelle mani di Hamas. Dell’accordo – mediato dall’Egitto – tra Israele e il movimento che controlla Gaza si è dato l’annuncio martedì scorso. Il giorno dopo, facile immaginarlo, c’erano solo grandi sorrisi e commozione sulle facce dei tanti che per mesi hanno tenuto viva l’attenzione sul giovanissimo militare con una tenda di protesta, striscioni, grandi fotografie e slogan sotto la casa del Primo ministro, a Gerusalemme.
Il prigioniero torna a casa, Israele non ha dimenticato il suo soldato. “Nethanyau sarà ricordato come il redentore di Shalit” – aveva scritto non senza ironia Yossi Verter su “Haaretz”. “Partendo dal presupposto che l’accordo diventi realtà, nei prossimi giorni gli israeliani saranno pieni di gioia e condivideranno la felicità della famiglia di Shalit. Ma in due, tre o quattro mesi lo stato d’animo potrebbe cambiare rapidamente. Se le oscure e malinconiche profezie dovessero materializzarsi e le città di Israele saranno soggette a orrendi atti di terrore, anche coloro che oggi sono a favore dell’accordo, domani si rivolteranno contro Nethanyau”.
Sui maggiori quotidiani israeliani in realtà la gioia ha pian piano ceduto il passo alle analisi di un accordo sospirato ma controverso. 1027, è questo il numero esatto dei prigionieri palestinesi che torneranno in libertà per garantire il rilascio di Shalit. Severi e preoccupati, i commenti del “Jerusalem Post” hanno polemizzato sul rafforzarsi del potere negoziale di Hamas, ma soprattutto della sua immagine agli occhi del popolo palestinese: “Nonostante la schiacciante superiorità militare di Israele” – ha scritto Yaakov Lappin –, “Hamas ha avuto la capacità di convincere Gerusalemme a negoziare come con un partner di uguale livello. (…) L’accordo su Shalit sarà usato da Hamas per reclamare, ancora una volta, di essere il più efficace rappresentante dei palestinesi. Le immagini dei prigionieri liberati probabilmente convinceranno molti che Hamas ha ragione”.
Anche Daniel Nisman e Avi Yesawich hanno evocato lo spettro di un presunto, possibile, tentativo di “sorpasso” di Hamas su Fatah agli occhi dell’opinione pubblica palestinese, insinuando che l’accordo possa essere una sorta di replica all’iniziativa – non supportata dal movimento in forze a Gaza – che ha acceso gli animi di questo popolo nelle scorse settimane, quando il leader di Fatah Abu Mazen ha chiesto alle Nazioni Unite il riconoscimento dello Stato Palestinese.
Lo stesso articolo calava la vicenda della liberazione di Shalit nel più ampio contesto della Primavera araba e delle tensioni mediorientali, commentando come l’accordo potrebbe influire positivamente anche sull’immagine del governo di transizione egiziano che “nelle ultime settimane è stato colpito da diverse situazioni di imbarazzo con gli attacchi all’ambasciata israeliana e le recenti violenze tra musulmani e copti”.
La preoccupazione, inoltre, è che il risultato ottenuto da Hamas possa essere percepito come una più generale vittoria dell’Islam, andando a influire sulle vicine elezioni dando forza alla già dominante fazione dei Fratelli Musulmani.
Non manca comunque chi riconosce e sottolinea come l’accordo non preveda solamente concessioni da parte di Israele, ma anche “l’espulsione di 203 prigionieri liberati dalla Striscia di Gaza e il proseguimento della detenzione per molti prigionieri di alto livello. Hamas deve essere stato messo all’angolo per aver accettato un simile compromesso drammatico” (Avi Issacharoff e Amos Harel, “Haaretz”).
L’analisi politica e le nere previsioni sulle possibili implicazioni del compromesso, infine, non sono fortunatamente le uniche parole che i commentatori hanno riservato alla vicenda di Gilad Shalit, rapito a vent’anni, per cinque anni lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia.
“Presto o tardi – ha scritto Ari Shavit sulla prima pagina di “Haaretz” – le fotografie di Shalit saranno rimpiazzate dalle fotografie di qualcun altro, e quindi solo tra alcuni anni potremo sapere chi ha avuto ragione e chi ha avuto torto nella riunione dei ministri di ieri. Solo con il tempo sapremo quale sia il reale bilancio tra ciò che è corretto e ciò che è pericoloso nell’accordo per il rilascio di Shalit. Ma fino a quando la storia non darà la sua risposta, possiamo tutti gioire. Gioiremo con i genitori di Gilad e con suo nonno. Gioiremo con Gilad, il ragazzo che ci ha straziato il cuore, il figlio che è diventato il figlio di tutti noi, e che finalmente sta tornando a casa”.