Insieme all’Egitto la Tunisia è, al momento, il Paese scosso dalla primavera araba che maggiormente desta preoccupazione, perché ancora fortemente incerto negli esiti, come è incerta la sua popolazione. A Tunisi la crisi economica impazza, il mercato del lavoro è praticamente fermo da mesi, ma sono soprattutto alcuni episodi a livello sociale che destano preoccupazione.



Si prospettano tempi se possibile ancora più duri in Tunisia e le elezioni sono a tutti gli effetti lo spartiacque per capire cosa sarà Tunisi dopo il voto: rimarrà ancora ponte decisivo verso l’Europa oppure diverrà un altro oscuro ricettacolo di estremismo? A dire la verità, tutti i segnali raccolti finora fanno pensare che la seconda ipotesi prevarrà: il recente episodio dell’irruzione degli integralisti nel cinema di Tunisi per fermare una rassegna a loro modo di pensare “blasfema”, il ritorno di Ghannouchi in patria dopo venti lunghi anni di esilio a Londra e, soprattutto, il comportamento del governo attuale rispetto alle denunce di tutte quelle madri cui sono stati sequestrati i propri figli da uomini senza scrupoli. Vicenda in cui l’Italia è più colpita rispetto ad altri paesi.



Emblematico il caso di Martina, di cui giornali e agenzie hanno descritto l’amaro destino e sulla cui sorte ancora oggi ci battiamo senza sosta e con grande coraggio grazie a Mai Più Sola, il numero verde antiviolenza di Acmid Donna realizzato grazie al sostegno della Fondazione Nando Peretti. Domani, 20 ottobre, ci sarà l’udienza per l’affido definitivo e lì si giocherà la battaglia decisiva non solo contro un uomo che ha sequestrato una bambina, ma anche e soprattutto contro un sistema illegale criminale sui minori. Martina è italiana e deve rimanere in Italia, ma da questo punto di vista la Tunisia non è cambiata poi granché da quando c’era Ben Alì.



Il Tribunale di Milano ha tolto la patria potestà al padre di Martina, spezzando un immobilismo che a Tunisi rende difficile il ritorno della bambina. Immobilismo aiutato dall’assenza di esponenti diplomatici nel dibattimento e dal silenzio della nostra Ambasciata. Questa è la primavera araba? Una farsa storica, direi, visto che ai dittatori in Tunisia si stanno sostituendo i burocrati dell’estremismo. Centocinque partiti, per altrettanti candidati, con la particolarità che il 90 per cento non sono assolutamente preparati per una tornata elettorale, che è talmente vicina, dopo qualche rinvio, da non permettere passi falsi.

L’unico partito che a oggi è preparato e Ennadha, il cui primo attore è proprio quel Rachid Ghannouchi, che una volta tornato vuol riprendersi la Tunisia. I seggi verranno attribuiti in numero variante da quattro a dieci, a seconda dei residenti in ciascuna delle 27 circoscrizioni nazionali. Ma la grande novità è che per legge la metà dei candidati dovrà essere di sesso femminile.

Questo però non significa un Parlamento costituito per metà da donne, perché nella maggioranza dei casi le liste eleggeranno solo il capolista di circoscrizione che spesso è uomo. Del resto non avrebbe alcun senso, agli occhi degli estremisti, mettere in posizioni di governo delle donne quando pochi giorni fa colei che ne difendeva i diritti nell’ambito del diritto di famiglia, il più avanzato fino a ieri nei paesi arabi, è stata letteralmente cacciata dopo tanti anni di attività. Un’altra presa in giro colossale, che manda in malora tutto quello che di buono si era pensato sulla rivoluzione in Tunisia: il Paese sta per essere dilaniato da chi altro intento non ha se non quello di realizzare un sogno teocratico dalle tinte più che fosche. E quando i tunisini fuggiti in Italia torneranno, se torneranno, troveranno solo sterpaglia bruciata al posto del gelsomino.