Dopo la diffusione delle foto e dei video non ci sono più dubbi: Muammar Gheddafi è morto. Ancora non c’è una versione ufficiale su come sia stato ucciso l’ex Rais che da oltre 40 anni regnava sulla Libia: secondo alcuni sarebbe stato ucciso durante una sparatoria; secondo altri, sarebbe morto durante il trasporto verso l’ospedale di Misurata in seguito alle ferite riportate nel corso delle operazioni per la sua cattura. “La guerra è praticamente finita” è stato il commento del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Sarà da vedere quali benefici ne avrà l’Italia, dato che, come ci spiega Arturo Varvelli, Ricercatore dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale (Ispi), «probabilmente si concluderà una fase di rapporti privilegiati che il nostro Paese, al di là di Berlusconi, ha sempre avuto con il regime di Gheddafi, in favore di accordi anche con altri paesi». (clicca su questo link per vedere la fotogallery del cadavere di Gheddafi) Ma era proprio necessario arrivare all’uccisione del Colonello? «Si può dire che non vi fosse alternativa. L’uscita di scena di Gheddafi era una strada praticamente obbligata. Anzitutto, perché un Gheddafi in vita avrebbe potuto gettare in imbarazzo molti leader delle democrazie occidentali. Avrebbe, infatti, potuto parlare delle sue consolidate amicizie. Ma vi era poca convenienza a mantenerlo in vita anche tra i ribelli. L’impressione è che tra le varie fazioni fosse stata innescata una “caccia al trofeo”». In effetti, fa notare Varvelli, lo stesso ragionamento relativo agli Stati occidentali, potrebbe riferirsi ai capi del Consiglio nazionale di transizione (Cnt): «Molti tra i leader del nuovo organismo di rappresentanza del Paese, fino a pochi mesi fa erano uomini del regime di Gheddafi: basti pensare al Segretario del Cnt, Mustafa Abdal Jalil, che era ministro della Giustizia fino a febbraio. Non avevano alcuna convenienza a lasciare che il Colonnello potesse dire la propria sul loro operato degli anni passati». (clicca su questo link per vedere il video del cadavere di Gheddafi assalito dalla folla)



Sta di fatto che, adesso, dopo la morte del Rais, la situazione per la Libia diventerà complicata. «Paradossalmente, fino a questo punto è stato Gheddafi a tenere unito il Paese e le varie componenti del Cnt che gli davano la caccia». E uno dei problemi è proprio capire come tali componenti interagiranno tra di loro, perché «c’è una divisione tra i vari Jalil, Jabril, e Taruni, a capo del Cnt, e tra i vertici militari. E tra i vertici politici e quelli militari». Questi ultimi, in particolare, «si rifanno a forze di ispirazione islamica». Secondo Varvelli, però, «le probabilità che il potere sia assunto da forze estremiste di ispirazione Al-Qaedista o salafite sono basse. Tuttavia, non è escluso – anzi, è quasi certo – che la nuova Libia dovrà tenere conto di alcune forze politiche di ispirazione islamica, che nella società sono prevalenti. È incerto, in ogni caso, l’indirizzo che tali forze assumeranno».



Inoltre, nonostante la rivolta in Libia sia nata sull’onda di quelle in Tunisia ed Egitto (paesi che a breve porteranno i loro cittadini al voto), non è detto che possa seguire la stessa strada, «perché Gheddafi ha di fatto creato un vuoto di potere enorme, non lasciando istituzioni cui aggrapparsi come, per esempio, l’esercito in Egitto». Tuttavia, difficilmente il nuovo Paese sarà nemico dell’Occidente, «perché ne ha bisogno. La Libia, infatti, è un rentier state, che ha bisogno di vendere petrolio per sopravvivere, dato che il 95% delle sue entrate deriva dal greggio». Uno status che difficilmente aiuterà lo sviluppo dei diritti umani nel Paese: «Storicamente, tutti i rentier states, a eccezione della Norvegia, non diventano mai democrazie mature, perché si viene a instaurare una sorta di accordo tra cittadino e Stato, in cui il secondo garantisce la redistribuzione della rendita tra tutti in cambio di minori libertà. Credo che questo patto sociale potrà funzionare ancora in Libia e che, data la situazione di incertezza politica che si troveranno di fronte, i futuri governanti del Paese, chiunque essi siano, non rinunceranno ad applicarlo per avvantaggiarsene».

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