Il ragazzo con la pistola potrebbe venire da qualsiasi parte del sud del mondo, con i lunghi capelli neri, il berrettino in testa, quella maglietta sbarazzina col cuore ferito da una freccia. Chissà se gliel’ha regalata la morosa. E’ giovane, ha una di quelle facce che si direbbero pulite, sembra aver vinto al tirassegno del luna park. E’ lui che ha appena sparato a Gheddafi, il dittatore, il raìs, il terrore del Maghreb per decenni, il topo braccato, come Saddam, in una buca di cemento alla periferia della sua Sirte. Il ragazzo sorride, si fa fotografare con in pugno una pistola dorata, come se l’avesse comprata apposta per la grande occasione, i compagni più anziani lo prendono in spalla, lo portano in trionfo. Chissà se gli daranno un posto nel nuovo esercito dei ribelli, o se tornerà a fare il beduino; se gli permetteranno di rilasciare interviste, e diventerà così un eroe nazionale. Il diciottenne che ha ucciso Gheddafi. Un ruolo da protagonista in un film. Ha la faccia, come si dice. E pensare che ci avevano provato in tanti, servizi segreti di diversi paesi, raid aerei di coalizioni semimondiali, guerriglieri e mercenari. Tutti gli organismi internazionali, costosissimi, pesantissimi, inutili, seduti a tavoli e tavoli a elaborare strategie per la cattura, e poi, che farne, un tribunale internazionale, no, consegniamolo ai libici, carcere, pena capitale, eccetera. 



Chi ci ha creduto? Sapevamo bene che sarebbe finito ammazzato per terra, nella polvere, mentre ostentava sicurezza e intimava ai fedelissimi di cacciare i topi stranieri dal suolo libico. Sapevamo bene che ci avrebbero provato, a  dire che era stato ferito mortalmente in un attacco di guerra. Ma che avrebbero fatto a gara per farsi fotografare accanto al cadavere sanguinolento, la faccia spiaccicata nell’obiettivo, per raccattare quel po’ di gloria prima che nuovi rais locali o eserciti di liberazione si appropriassero dell’evento. Bastava un ragazzo, dopo tanti morti, dopo tante cacce all’uomo.  Finiscono così, da sempre, i tiranni. Sic transit gloria mundi, hanno chiosato i presidenti alleati, il nostro in testa, quelli che con Gheddafi, da decenni, ci facevano i banchetti, che lo omaggiavano di doni e fanciulle nelle tende allestite nel cuore delle più belle capitali europee.



Quelli che, meno spudoratamente, ma in modo più infido, hanno cominciato a disprezzarlo quando contava meno, quando era sul far del tramonto, e ora tentano di occultare le prove di scambi fruttuosi di denaro e di soldi, di operazioni militari ce di rappresaglie, più comode da imputare al cattivo di turno. Bene, scusate se ci commuove, quel volto deturpato che tutte le agenzie, le televisioni, i giornali sbattono in prima pagina, che inquieta i nostri bambini. Ci vergogniamo un po’, davanti a loro, perché non vale dire che era l’uomo nero, che era fatale, doveva finire così. Era un uomo, e da piazzale Loreto sono passati 56 anni.  



Abbiamo l’orgoglio di una cultura illuminata, democratica, non dovremmo accettare con indifferenza o come fatalità la vendetta cruenta sui nemici. Chi ha sguinzagliato i ribelli, o come dicono loro, i  liberatori, avrebbe potuto e dovuto farsi dare garanzie, perché una parvenza di giustizia aprisse la strada a una Libia nuova, riconciliabile. Vatti a fidare del Cnt, nonostante gli inviti diplomatici e i riconoscimenti frettolosi. Speriamo che Gheddafi non sia il primo di una lunga serie di cattivi impalati a beneficio delle telecamere, e come monito per gli oppositori.

Ma queste sono chiacchiere che rovinano la festa, che oggi muove le piazze e i consessi soddisfatti dei ministeri europei. Oggi è il trionfo di Sarkozy, che diventa padre mentre muore l’uomo che aveva deciso di far fuori, da tempo.  Guardate quel ragazzo di diciott’anni, com’è felice. Ha trovato il suo posto nella storia. Ma chi gli ha insegnato a sparare così a chi lo implorava di non sparare? Vorremmo credere che ha pensato ai tanti morti torturati, alle vittime offese, ai nemici incarcerati nelle fogne dai suoi sadici figli; e per questo, ha premuto il grilletto. Temiamo che non sia così. Il ragazzo con la pistola ha l’aria di chi  ha colpito l’orso burattino che grugnisce, ferito, e ha vinto una sistemazione per il futuro. Chi l’ha armato, chi gli ha insegnato a stare così allegro, davanti alla morte e alla Storia?

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