Il dopo Gheddafi è cominciato. Oggi, a Bengasi, la Libia ha annunciato ufficialmente al mondo la liberazione, dopo 42 anni trascorsi sotto il regime del Colonnello. Abdel Jalil, preidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), ha preannunciato i criteri che ispireranno al nuova Costituzione: “come nazione musulmana la sharia è alla base della nostra legislazione, pertanto ogni legge che contraddica i principi dell’Islam non avrà valore”. Già sabato il premier Mahmud Jibril, aveva parlato di elezioni da tenersi al massimo entro otto mesi, per eleggere una assemblea di rappresentanti con il compito di scrivere una costituzione e formare un governo transitorio “fino alle prime elezioni presidenziali”. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Giuseppe Buccino Grimaldi, dal 15 settembre ambasciatore d’Italia a Tripoli. “E’ un’occasione unica”, dice l’ambasciatore, la possibilità di “includere tutti i libici nelle decisioni importanti e nelle istituzioni democratiche che nasceranno”. Il nostro paese, in questa fase, non può rinunciare al suo ruolo, dice Buccino, di partner naturale privilegiato della nuova Libia in costruzione.



Ambasciatore Buccino, giovedì si è definitivamente conclusa, con la morte del rais, la Jamahiriya di Gheddafi. Cosa rappresenta questo evento per la storia della Libia?

E’ un evento storico, che chiude 42 anni di una dittatura che nel tempo si è rivelata sempre più oppressiva, sanguinaria e personalistica. Ma è soprattutto l’inizio di una sfida, che si è aperta mesi fa con i fatti di Bengasi e di Tripoli e che ha rivelato al mondo il coraggio e la determinazione del popolo libico, una volta intravista la concreta possibilità di conquistare la libertà e la possibilità di decidere del proprio futuro. E’ una svolta fondamentale per il Paese, che inizia adesso un cammino, già tracciato in un progetto di Costituzione provvisoria, destinato a concludersi con le prime vere e proprie elezioni parlamentari nel giro di meno di due anni.



Sul serio non c’è il rischio che il paese sia dilaniato ora dalla guerra civile?

Non credo che i libici si lasceranno sfuggire l’opportunità di aver parte nelle decisioni importanti e nelle istituzioni democratiche che nasceranno. Il pluralismo, fortemente contrastato nel periodo della Giamahiria, rappresenterà il lievito essenziale di tale processo: vi sono in Libia, ma fino ad ora non hanno potuto esprimersi, molte società, molti progetti tra loro complementari, che possono ora finalmente unirsi per costruire un Paese democratico ed aperto al mondo. Ciò che rappresenta, in fin dei conti, il sogno che ha alimentato lo straordinario coraggio e spirito di sacrificio mostrato dai libici in otto lunghi e sanguinosi mesi di lotta per la libertà.



E cosa cambia per l’Italia?

La nascita della Libia libera apre un periodo che sarà sicuramente di ulteriore sviluppo nei rapporti bilaterali in tutti i settori, non solo in quello economico. Solo per fare un esempio, la domanda di apprendimento dell’italiano è sempre stata elevata, ma contrastata dalle Autorità del precedente regime, così come molti giovani libici hanno il desiderio di completare gli studi in Italia. Poter interloquire da oggi in poi con un Paese che vivrà una stagione di crescita democratica ci permetterà di sviluppare appieno i rapporti in questo campo, ma anche di essere presenti in Libia con ciò che l’Italia sa esprimere al meglio: penso all’alta tecnologia, ma anche alle piccole e medie aziende del nostro tessuto economico, un modello di sviluppo che rappresenta certamente uno dei più adatti per un Paese in cerca di diversificazione produttiva, di crescita dell’occupazione e della promozione delle eccellenti risorse umane di cui è dotato.

Cosa vuol dire l’eliminazione del rais per lo scenario attuale del paese e del Mediterraneo?

La lotta per la liberazione della Libia, che ha portato dopo otto mesi alla fine di uno dei regimi più oppressivi e personalistici del mondo, si tradurrà da oggi nella costruzione della democrazia, con libere elezioni a sessant’anni dall’ultimo voto espresso dai cittadini libici nelle urne. L’attuale fase di instabilità della regione dipende da una serie di complessi fattori, e la nascita di uno Stato nel quale sarà possibile far crescere la pianta della democrazia e del dialogo, in una cornice di Islam moderato come quello prevalente in Libia, costituisce un passo importante nel cammino verso la stabilità e le importantissime relazioni tra le sponde settentrionale e meridionale del Mediterraneo.

Secondo lei la dipartita di Gheddafi porrà definitivamente fine alle violenze?

La prima preoccupazione del Cnt, espressa fin dalle primissime settimane della lotta di liberazione, è stata quella di garantire la sicurezza interna del Paese. Molti e ben formulati sono stati gli appelli alla non violenza lanciati dal Presidente del Cnt Abdeljalil, personalità che gode oggi di un alto prestigio e seguito popolare in Libia. Tali inviti hanno avuto un tangibile effetto e gli episodi di violenza gratuita sono stati sinora molto limitati, mentre è certo che la giustizia della nuova Libia affronterà questi casi con fermezza ed equità.

Quindi secondo lei non ha senso un paragone tra la Libia di oggi e l’Iraq del dopo Saddam Hussein.

Ogni vicenda storica costituisce un fatto a sé stante ed il paragone tra Libia ed Iraq non ha un solido fondamento. Vorrei ricordare che una delle conseguenze caratteristiche di questi otto mesi di lotta è purtroppo stata quella di aver causato molte vittime, circa 25mila, alle quali vanno affiancati gli oltre 250mila feriti. Il senso di unità e l’anelito di libertà che hanno mosso il popolo libico in questi mesi non hanno paragone nella storia recente del mondo arabo e credo sinceramente che su tali sentimenti si potrà costruire un Paese unito e democratico.

Quali sono i rapporti dell’Italia con il Cnt del presieduto da Abdeljalil?

I rapporti sono ottimi, come si è confermato anche nel corso delle recenti visite a Tripoli del Ministro degli Esteri Frattini e del Ministro della Difesa La Russa. Vorrei ricordare che abbiamo avviato i rapporti con il Presidente del Cnt proprio con un contatto del Ministro degli Esteri nei primissimi giorni di marzo, e con il successivo immediato invio di un rappresentante diplomatico a Bengasi. Abdeljalil ha tenuto a sottolineare, nel corso delle visite che ho ricordato, che l’odio per gli italiani era un’invenzione di Gheddafi e che il sentimento autentico dei libici per il nostro Paese è di affetto e di stima. Del resto l’attività quotidiana dell’Ambasciata e dei Consolati in Libia, la presenza di aziende e di cittadini italiani che svolgono la loro professione in questo Paese ne sono la conferma.

Cosa può fare l’Italia per favorire una transizione pacifica?

Come ho detto, non sussistono problemi di fondo nel rapporto tra Italia e Libia, si tratta adesso solo di impegnarci, e mi riferisco alle nostre istituzioni, ma anche alle nostre aziende ed agli operatori sociali e culturali, per dare concretezza alle ottime premesse che già esistevano tra Roma e Tripoli e che il sostegno assicurato dall’Italia alla causa della rivoluzione libica del 2011 ha certamente rafforzato. Dialogare con la Libia di oggi e del futuro sarà più facile, poiché non rischieremo di trovarci di fronte gli ostacoli che il Regime poneva per questioni di politica interna e di prestigio, ma ciò non significa che dovremo impegnarci di meno.

Qual è il ruolo del nostro paese nel futuro a medio termine del paese?

L’Italia è da sempre un partner privilegiato della Libia e vi sono molti settori di attività economica, sociale e culturale nei quali i libici hanno sempre desiderato dialogare con interlocutori italiani. A maggior ragione ciò sarà vero d’ora in poi, con il vantaggio che sarà più semplice dar vita a concreti progetti di efficace collaborazione. Lo sviluppo di rapporti economici su basi nuove può solo aiutare una giovane democrazia a crescere. Prevedo anche, come le dicevo, una rilevante intensificazione dei rapporti culturali, soprattutto per quanto riguarda i giovani, categoria d’età che costituisce la maggioranza della popolazione in Libia. Le posso conferamre che i libici uniscono ad un sincero affetto per l’Italia una profonda, autentica gratitudine per il ruolo che abbiamo svolto in questi mesi, e tali sentimenti non possono che alimentare lo sviluppo delle relazioni bilaterali in tutti i settori.

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