“Io, cristiano libanese, vi spiego perché la Chiesa siriana non deve avere paura di scaricare il presidente Assad, seguendo l’esempio di Papa Benedetto XVI e del Vaticano”. Camille Eid, giornalista di Avvenire e docente di Lingua araba in Università Cattolica, contattato da Ilsussidiario.net commenta così l’intervista a Bashar Assad pubblicata ieri dal Sunday Telegraph. Per l’esperto, “i vescovi siriani temono l’ascesa al potere dei sunniti, ma la loro non è una scelta lungimirante. La caduta di Assad presto o tardi è inevitabile. Appoggiarlo rischia solo di creare dei rancori nei confronti dei cristiani, il cui compito dovrebbe essere invece di costituire un elemento di coesione all’interno della società”.
Assad ha dichiarato che un’azione dell’Occidente contro la Siria creerebbe un nuovo Afghanistan. Sarebbe davvero così?
Non è una coincidenza che Assad abbia parlato di Afghanistan: dopo la strage dei soldati americani avvenuta sabato a Kabul, queste parole rappresentano una vera e propria minaccia. E’ lo stesso atteggiamento tenuto da Gheddafi o prima ancora da Saddam Hussein. Assad dimentica però che l’Occidente non ha mai detto di voler intervenire militarmente. Inoltre, il dittatore finge di non sapere che la stessa Lega araba ha chiesto al regime siriano di cessare le violenze. Assad del resto prima ha approvato una riforma per garantire il diritto di manifestare liberamente, e poi manda l’esercito a reprimere chi scende in piazza. Tanto che dall’inizio della rivolta le vittime civili hanno raggiunto un numero spropositato, e tra loro ci sono circa 200 bambini.
Perché Assad esce allo scoperto proprio adesso?
Il presidente siriano parte dal presupposto che, terminata la guerra in Libia, l’Occidente si occuperà del suo regime. Oggi inoltre (ieri, ndr) la Lega araba ha convocato i suoi emissari in Qatar per dare l’“ultimo ultimatum” ad Assad. Ma perfino uno storico alleato come l’Iran ha criticato il regime di Damasco. Assad si rende conto che anche i suoi migliori alleati lo stanno abbandonando. Non dimentichiamoci che sempre oggi (ieri, ndr) l’inviato del governo cinese al Cairo ha detto a chiare lettere che Assad deve accelerare le riforme.
Quindi solo la Russia è rimasta arroccata nel sostegno al dittatore. Assad accetterà delle libere elezioni?
Le rispondo con un aneddoto. Pochi giorni fa mi sono incontrato con un capo di Hezbollah, il partito libanese vicino al regime siriano. Questo leader, che in teoria doveva difendere Assad, in realtà mi ha detto in tono ironico: “Se Assad non accetta di fare le riforme, prima o poi crollerà. E lui sarebbe disponibile a farle, purché l’Occidente gli prometta che resterà al potere per altri 6mila anni”. “Intendi dire per altri sei anni?”, lo ho interrotto io. “No no, hai capito bene”, mi ha risposto.
Qual è la posizione dei cristiani siriani nei confronti delle rivolte contro Assad?
Per me, cristiano libanese, questo è un punto dolente. La posizione della gerarchia ecclesiastica è completamente allineata a quella del regime. I cristiani temono l’alternativa islamista a un regime che tutto sommato si considera laico. Partendo dall’esperienza irakena, la Chiesa siriana ritiene che il crollo del regime basato sulla minoranza alawita aprirà le porte a un nuovo regime, necessariamente sunnita. Ma prende in considerazione soltanto una delle possibili ipotesi. Il regime di Assad del resto ha cercato di mantenere il potere grazie a un’alleanza tra minoranze, inclusa quella cristiana, contro la maggioranza sunnita.
Lei come valuta questa politica?
Ritengo che non sia stata lungimirante. Il ruolo del cristiano deve essere infatti quello di rappresentare un elemento di coesione tra le diverse componenti della società. E non invece di schierarsi con una minoranza contro i diritti della maggioranza. Tra i cristiani siriani del resto le posizioni sono molto diversificate: c’è chi non vuole rischiare di prendere posizione contro Assad, ma in molti si sono stancati delle sue promesse. Non a caso nel Consiglio costitutivo dell’opposizione siriana, una sorta di Consiglio nazionale transitorio, sono presenti numerosi cristiani.
Che cosa dovrebbe fare quindi la Chiesa siriana?
Dovrebbe fare sì che tutte le componenti possano contribuire alla rinascita della nazione. Le gerarchie ecclesiastiche del Paese considerano il dittatore come il male minore. Ho discusso a lungo personalmente di questa posizione con i vescovi siriani, e ho tentato di convincerli del fatto che continuare a sostenere pubblicamente le posizioni di Assad non farà altro che creare sfiducia nei loro confronti. E’ un dato di fatto, presto o tardi il presidente dovrà dimettersi: non può continuare a governare da solo un Paese come la Siria. Finora Assad ha impedito ai sunniti prendere parte alla vita politica, ma che ci piaccia o no loro rappresentano la maggioranza. Più allontaniamo l’unica soluzione naturale, e cioè che tutti i cittadini siano rappresentati, più esacerbiamo il desiderio di rivalsa dei sunniti: e di questo, se i vescovi manterranno la loro posizione, pagheranno le conseguenze anche i cristiani.
Il Vaticano ha appoggiato la linea dei vescovi siriani?
No, la Santa sede ha cercato di tenersi lontana dalla loro posizione. Tanto è vero che lo scorso agosto il Papa Benedetto XVI ha chiesto ad Assad di fermare le violenze, da qualsiasi parte provengano. La considero una posizione molto netta, e i vescovi siriani dovrebbero tenerne conto.
Quali interventi dell’Occidente sarebbero auspicabili nei confronti della Siria?
Si potrebbe giungere a un embargo nei confronti dei beni siriani all’estero: ogni giorno per esempio si scoprono dei capitali siriani in banche svizzere o inglesi. Dobbiamo colpire Damasco nel suo nervo scoperto, perché l’economia siriana non ha grandi risorse e quindi non potrà durare a lungo senza i finanziamenti stranieri. La Siria infatti è soltanto il 30esimo produttore di petrolio nel mondo. L’Occidente potrebbe inoltre riconoscere il Consiglio transitorio siriano: trattando con l’opposizione, si darebbe ad Assad l’impressione che la sua fine si stia avvicinando. Escludo invece che sia auspicabile un intervento militare. Gli stessi oppositori siriani non vogliono neppure saperne di un’azione come quella avvenuta in Libia. Il rischio di una guerra civile è troppo elevato, e la forza di chi protesta è proprio nel fatto che le loro manifestazioni sono sempre state pacifiche.
(Pietro Vernizzi)