Un attentato, a Mogadiscio, capitale somala, ha ucciso 65 persone. I ribelli di al-Shabaab, associazione affiliata ad Al Qaeda, hanno fatto esplodere almeno un’autobomba. Si tratta dell’attacco più sanguinoso dal 2007. «Va ricollegato alla decisione – formale – di ritirarsi da Mogadiscio che, un tempo, controllavano in parte. La strategia di al-Shabaab contro il governo sostenuto dall’Unione africana era di stampo tradizionale: armi pesanti, mortai e avamposti dislocati in alcune zone della città. Poiché questa strategia, che mirava al logoramento della missione dell’Unione, ha mostrato gli squilibri tra gli Shabaab e le forze governative, la formazione ha deciso per il ritiro», spiega a ilSussidiario.net Luca Puddu, analista di Equilibri.net esperto di questioni relative al Corno d’Africa. Costoro, evidentemente, sono rimasti nella Capitale. E in forze. Nell’attentato sono stati uccisi studenti, civili e militari. I militari della missione dell’Unione Africana, Amison, che sostiene il governo federale transitorio. «Si tratta – continua Puddu – di una strategia di guerriglia nei confronti delle forze governative. La stessa utilizzata dall’opposizione islamista, tra il 2007 e il 2009, contro gli occupanti etiopici», dice, riferendosi a quando un intervento straniero permise di cacciare le Corti islamiche che, dal 2006, governavano, essendosi sostituite alle scorribande dei signori della guerra. «Allora – aggiunge – Mogadiscio era formalmente sotto il controllo di transizione supportato dalla truppe etiopiche, ma di fatto in una situazione di semianarchia». Anche il governo di adesso è debole, e di transizione. «Sì, ma è cambiato rispetto al 2009. E’ stato rimodellato, eleggendo come nuovo presidente il leader delle precedenti Corti islamiche. Il Parlamento, inoltre, è stato allargato, aprendo alle forze islamiste di opposizione considerate moderate». La debolezza della nuova formazione è evidenziata da alcuni fattori: «riesce a controllare alcune zone di Mogadiscio solo grazie all’Amison. Ma l’attacco di oggi fa comprendere come tale controllo non sia così rigido. Del resto, il governo transitorio non dispone di una capacità militare autonoma, dipendendo in ultima istanza da una rete di alleanze con milizie locali. Dopo il ritiro di Shabaab, alcuni analisti hanno evidenziato il rischio di un ritorno ad una frammentazione in piccoli feudi controllati da singoli signori della guerra, gli stessi cacciati nel 2006 dall’imposizione delle Corti islamiche».
Queste ultime, è improbabile che torneranno ad esistere. «Le corti come le conoscevamo nel 2006, erano rappresentate da una serie di personaggi, alcuni dei quali oggi fanno parte del governo federale di transizione, altri di al-Shabaab». Secondo Puddu, la formazione va compresa rispetto alla sua situazione di estrema frammentazione. «Considerare Al Shaabab come mera appendice del terrorismo internazionale è una generalizzazione riduttiva. Certamente vi sono degli elementi che sono affiliati ad Al Qaeda. Ma potremmo paragonarla ad una grande coalizione in cui coabitano l’anima nazionale, quella islamista transnazioanale, nonché signori della guerra locale che si affidano ad al Shabaab per continuare a controllare quell’area. La fedeltà professata ad Al Qaeda va interpretata anche come uno strumento per ottenere supporto finanziario da fonti esterne al solo circuito locale».