“Il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell’Onu non farà altro che esasperare il conflitto con Israele. Nessuno mette in discussione il diritto dei palestinesi ad avere un loro Stato, ma la strada che stanno seguendo per ottenerlo è sbagliata. Occorre puntare sulle trattative tra arabi e israeliani, non su una risoluzione Onu che chiuderebbe per sempre le porte al dialogo”. A dichiararlo in esclusiva a Ilsussidiario.net è Michael Herzog, Brigadiere Generale della riserva dell’esercito israeliano e che scrive spesso sul quotidiano Haaretz. Da 20 impegnato in prima persona nelle trattative con i palestinesi, Herzog non risparmia però le critiche all’attuale governo israeliano che “non sta facendo nulla per riaprire il dialogo e non ha chiarito quali sono le sue proposte per uscire dal conflitto”.



Ritiene che i palestinesi abbiano o meno il diritto di creare uno Stato autonomo?

Il vero problema non è se i palestinesi abbiano o meno diritto a uno Stato. La maggior parte dei governi mondiali, incluso quello israeliano, sono d’accordo sul fatto che la migliore soluzione sia quella di creare due Stati, da una parte la Palestina e dall’altra Israele. Il vero problema è la modalità con cui vada instaurato lo Stato palestinese. Possono nascere come il frutto di una negoziazione, o come il risultato di una richiesta alle Nazioni Unite. L’obiezione rivolta da Israele e da altri attori della comunità internazionale non è rivolta quindi all’idea di Stato palestinese, ma al fatto di ottenerlo attraverso una risoluzione dell’Onu.



Obama ha annunciato che porrà il veto contro una risoluzione delle Nazioni Unite per riconoscere la Palestina. Condivide questa scelta?

La decisione palestinese di rivolgersi all’Onu sta solo complicando le relazioni con Israele. Comprendo le ragioni che hanno motivato i palestinesi a compiere questa scelta, ma non ne vedo l’efficacia da un punto di vista strategico: non credo infatti che farà compiere loro dei progressi. Anzi nell’attuale situazione è un passo abbastanza pericoloso, perché se la risoluzione Onu dovesse includere tutte le rivendicazioni palestinesi più massimaliste sulle questioni cruciali, diventerà molto difficile per le loro autorità compromettersi con negoziati accettando condizioni meno favorevoli. Rendendo quasi impossibile per qualsiasi governo israeliano, e non soltanto per quello attuale, accettare un confronto in questi termini. La risoluzione Onu quindi non farebbe altro che chiudere la porta al dialogo, mentre io sostengo fermamente i negoziati, tanto è vero che da 20 anni sono coinvolto in prima persona per farli progredire.



Che cosa la preoccupa di più?

Quello che accadrà il giorno dopo un eventuale riconoscimento della Palestina da parte dell’Onu. Se i palestinesi decideranno di denunciare Israele di fronte alla Corte penale internazionale, Israele potrebbe rispondere e questo danneggerebbe ancora di più le relazioni tra i due popoli. Portando per esempio a delle dimostrazioni di massa da parte dei palestinesi, che poi potrebbero sfuggire al controllo ed essere utilizzate dagli estremisti di entrambe le parti con finalità violente. La situazione ultimamente è molto instabile, e tutti dovrebbero sforzarsi di moderare i rischi invece di aumentarli.

 

Quali sono le condizioni che il governo israeliano dovrebbe porre in cambio del riconoscimento della Palestina?

 

In Israele c’è un vasto consenso a favore della creazione di uno Stato palestinese. Purché però ci siano forti garanzie che quest’ultimo non si trasformi in una minaccia per la sicurezza militarizzando l’attuale conflitto. E’ necessario individuare solidi accordi relativi alla sicurezza su cui collocare le relazioni tra i due Stati. Purtroppo le trattative vanno avanti da anni, ma né israeliani né palestinesi hanno delle alternative migliori alla creazione di due Stati.

 

Fino a che punto lei è d’accordo con l’attuale governo israeliano?

 

Il governo israeliano ha accettato l’idea di Stato palestinese due anni fa con un discorso pronunciato dal primo ministro Benjamin Netanyahu. Io ho idee differenti rispetto al mio governo sul modo con cui questo obiettivo andrebbe raggiunto. Ritengo che il governo israeliano dovrebbe prendere l’iniziativa e fare il primo passo mettendo sul tavolo i suoi parametri e le sue proposte. Devo ammettere per onestà che se oggi i negoziati sono bloccati, le responsabilità sono di entrambe le parti. Da un lato i palestinesi hanno preteso di dettare tre precondizioni come requisiti per ricominciare le trattative, dall’altra gli israeliani non hanno voluto chiarire quali erano i loro parametri e la loro stessa posizione. Per non parlare del governo americano, che ha avanzato richieste irrealistiche, incluso il congelamento del 100% delle attività dei coloni.

 

L’Ue ha accettato la Palestina come “Partner per la democrazia” del Consiglio europeo. E’ stata la scelta migliore?

Il problema è che l’Ue ha accettato la Palestina in quanto Stato, come membro a pieno diritto. Ed è tutto da vedere come i palestinesi faranno uso di questo riconoscimento. Se cercano innanzitutto una vittoria diplomatica e simbolica, posso capirli. Ma se intendono approfittarne per combattere Israele sul piano legale e politico, ritengo che questo sia un gioco molto pericoloso e che porterà a un’escalation delle tensioni. In questo caso infatti nessuna delle due parti ne uscirebbe vincitrice, ma entrambe avrebbero qualcosa da perderci. La comunità internazionale deve essere più prudente, distinguendo tra il sostegno morale ai palestinesi, che è una cosa, e quello politico, che alimenta lo scontro.

 

I palestinesi però sono esasperati da una situazione che si trascina da 60 anni. Perché non si è ancora giunti al riconoscimento di un loro Stato?

 

Perché gli israeliani vogliono essere certi che quando si raggiungerà un accordo e ci sarà un riconoscimento reciproco tra i due Stati, questa sarà la base per mettere la parola fine al conflitto, e non per aprirne uno di proporzioni ancora più vaste. Già negli accordi di Oslo del 1993 si parlava di riconoscimento reciproco tra due Stati. Dopo gli accordi di Oslo però, il governo israeliano ha aggiunto un’altra richiesta e sta chiedendo di essere riconosciuto come lo Stato-nazione del popolo ebraico. Attualmente in Israele è in corso un dibattito sul fatto che il governo debba o meno chiedere questo. La mia posizione però è che questo passaggio andrebbe risolto dopo avere trovato una soluzione per tutte le altre questioni chiave. Se noi ci impegniamo a trovare un accordo sui confini, sulla sicurezza, sui rifugiati e su Gerusalemme, sono convinto che allora avremo diritto anche a richiedere questo riconoscimento reciproco e che potremo ottenerlo. Ma affrontare il problema adesso prima ancora di iniziare i negoziati, complicherebbe le cose e alzerebbe il prezzo per un accordo sugli altri aspetti.

 

Lei non ha citato però il problema più scottante, che è quello della crescita demografica dei palestinesi …

 

E’ una realtà di cui tenere conto, ma la migliore soluzione per la sfida demografica è raggiungere un accordo per separare i due popoli, israeliano e palestinese, in due Stati autonomi. Se infatti non si raggiungesse un accordo, i palestinesi non avrebbero uno Stato e la pressione in Israele crescerebbe per consentire loro di ottenere la cittadinanza. Proprio per questo motivo pensare a un solo Stato invece che a due sarebbe una soluzione disastrosa.

 

(Pietro Vernizzi)