E’ di nuovo, a sorpresa, allarme proveniente dalla centrale nucleare giapponese di Fukushima, tristemente nota per essere stata colpita dal terremoto e dallo tsunami otto mesi fa. Secondo quanto si è venuto a sapere si starebbe preparando una nuova fissione nucleare, una reazione che potrebbe dar vita a una esplosione atomica. Cosa è successo? Secondo i tecnici della società che gestisce l’impianto giapponese, la Tepco, accusata dopo l’incidente di non aver lavorato in modo efficace per risolvere la situazione, sarebbe stata rilevata la presenza di gas xenon all’interno del reattore 2, quello più colpito dal terremoto e dallo tsunami. La presenza di tale gas indica una fissione nucleare in atto. Secondo Marco Ricotti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Milano, non siamo comunque di fronte a un pericolo paragonabile a quello di quando si è verificato l’incidente originario. “Un pericolo concreto” ha detto in una dichiarazione rilasciata a IlSussidiario.net “esisterebbe solo se non si riuscisse a interrompere questa reazione a catena ed essa dovesse estendersi. Ma anche in tal caso” ha aggiunto “non credo proprio ci potremmo trovare davanti a una situazione come quella di otto mesi fa”.



Professore, che cosa è esattamente il gas xenon?

Si tratta di gas che vengono prodotti solo a seguito della fissione nucleare. In pratica, quando una reazione a catena è avviata l’uranio che si emissiona produce anche questa tipologia gas, in questo caso si tratta di gas xenon 133 e 135. Si stima, al momento, che ci sia una ripresa della reazione di fissione almeno in alcune parti del reattore dove si è fuso il combustibile.



Qual è il livello di pericolo della presenza di questi gas? E come mai dopo otto mesi la loro presenza?

La struttura del sito nucleare di Fukushima dal momento dell’incidente è costantemente monitorata e tenuta sotto controllo, da qui l’allarme di queste ore. Questi gas in realtà hanno una vita estremamente breve, poche ore o al massimo alcuni giorni. Quindi se essi sono presenti adesso, vuol dire che da poco tempo è ripresa una attività di fissione, altrimenti i gas sarebbero decaduti, come dicevo, in pochissimo tempo: non esisterebbero più. I tecnici presenti nella struttura, avendo monitorato l’ambiente circostante, arguiscono che da qualche parte nel rettore 2 il combustibile fuso si sia raccolto e si sia concentrato.



E dunque cosa è successo?

E’ probabile che la presenza di acqua di raffreddamento, che viene anche utilizzata a moderare i neutroni, abbia dato vita a una piccola struttura modificante rinnescando le reazioni di fissione nucleare.

Qual è al momento il pericolo concreto di questa situazione?

Il pericolo concreto esiste solo se non si riesce a interrompere questa reazione a catena ed essa finisca per estendersi. Ma anche in tal caso non credo si torni alla situazione dell’incidente. Certamente gli operatori devono attivarsi per fermarla.

In che modo?

Gettando boro, iniettando acqua borica o comunque dei veleni neutronici, materiali che assorbono i neutroni ed evitano di far riavviare la reazione a catena.

C’è realmente, come sostengono alcuni dopo otto mesi, un alto livello di radiazioni intorno alla centrale di Fukushima?

Certamente in prossimità della centrale la contaminazione è elevata, tanto che per lavorare nell’area hanno usato mezzi robotici senza presenza umana, scavatori per movimentare grandi pezzi di strutture guidati non da esseri umani proprio per evitare contaminazione.

Una situazione altamente pericolosa, dunque.

Non esattamente: rimando ai dati che ciascuno può verificare sul sito dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica o sul sito agenzia di sicurezza giapponese. I livelli di radiazione oggi sono assolutamente inferiori a quanto è stato dopo l’incidente. In alcune zone stanno valutando se non sia il caso di far rientrare le persone. Oggi poi si riesce a fare una mappatura molto più precisa del territorio e si scoprono zone dove magari la nuvola ha rilasciato uno sbuffo di turbolenza maggiore e quindi una quantità di radioattività elevata. Sono i cosiddetti hot spot,  punti molto più radioattivi che vanno evidenziati e segnalati. In quelle zone va l’attenzione per una decontaminazione accurata.

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