Un piano di attacco messo a punto da Stati Uniti e Gran Bretagna con l’assistenza di Israele. Obbiettivo: l’Iran e i suoi impianti nucleari. E’ quanto ha scritto oggi il quotidiano inglese The Guardian riprendendo fonti israeliane. A differenza delle precedenti e numerose volte in cui gli Stati Uniti avevano minacciato l’Iran a parole, quello che impressiona questa volta, secondo quanto pubblicato, è il dettagliatissimo piano di intervento militare. Una offensiva lanciata con missili da crociera, jet e anche piccoli nuclei di forze speciali nonché sottomarini d’attacco. C’è anche un tempo preciso: agire entro un anno, prima che gli iraniani riescano a completare le gallerie sotterranee dove nascondere le armi nucleari. Secondo il generale Jean, contattato da IlSussidiario.net per avere un parere su tutto ciò, di fatto “gli Stati Uniti hanno approntato quello che si chiama Prompt Global Attack, un sistema che permette loro di intervenire com bombardamenti in qualunque parte del mondo partendo dal proprio territorio con velivoli senza uso di piloti”. Una autentica escalation, si direbbe, che abbiamo chiesto a Jean di commentare.



Generale, questo nuovo piano di attacco all’Iran fa parte dei precedenti casi di minaccia per costringere il Paese a cambiare politica sul nucleare, o questa volta si fa sul serio?

Ci sono state recentemente evidenti pressioni da parte degli israeliani nei confronti degli Stati Uniti perché prendessero posizione concreta verso l’Iran. Anche il modo con cui gli Stati Uniti si sono mossi dopo aver scoperto il piano di tentato omicidio dell’ambasciatore saudita da parte di agenti iraniani infiltrati negli Usa, dimostra come gli americani si stanno impegnando nel Golfo, superando così anche i timori sauditi e degli altri Stati della regione circa un temuto ritiro degli Usa dal Golfo stesso.



Perché Israele sta facendo queste pressioni?

Evidentemente Israele si sente minacciata nella sua esistenza da un attacco nucleare iraniano che considera ormai inevitabile. Il problema è che all’interno dell’Iran c’è una lotta di potere per chi deve guidare il Paese, e una lotta del genere in un regime dittatoriale può portare a gesti del tutto irragionevoli e avventati, come lanciare un attacco nucleare.

Dunque il piano di attacco emerso in queste ore sulla stampa è realista?

Veda, il fatto di fare un piano militare non significa niente di particolare, in realtà. Già circa un anno e mezzo fa il generale Petreus, allora a capo del Central Command, aveva commentato la possibilità di attaccare l’Iran mettendo in evidenza la difficoltà di distruggere questi impianti, situati soprattutto nelle caverne.



Infatti si dice che l’attacco debba avvenire entro un certo limite di tempo, prima che le armi nucleari siano nascoste a profondità non raggiungibili.

Fino a che punto si possa fare affidamento su un attacco aereo io non lo saprei dire. Spesso gli attacchi aerei sono state delusioni; è vero che oggi ci sono bombe di penetrazione in profondità che penetrano parecchio nel terreno anche duro e roccioso, però gli iraniani se hanno scavato dei buchi li hanno scavati a una profondità superiore a quella che possono raggiungere le bombe.

L’idea di un attacco su larga scala contro l’Iran genera comunque scenari inquietanti, considerando che siamo davanti a una grossa potenza militare.

Non direi. Un conto è se si tenta l’occupazione del territorio, altrimenti la potenza di fuoco americana è talmente forte che il programma nucleare iraniano verrebbe fortemente ridotto. Il  grosso problema è piuttosto un altro.

Quale?

Che l’Iran dia vita, come già annunciato peraltro, a un blocco navale dello stretto di Hormuz che chiuderebbe il Golfo Persico con relativo blocco delle rotte delle petroliere. La marina iraniana ha già ricevuto missili antinave e chiudere la circolazione delle petroliere in questo momento di crisi mondiale non sarebbe certamente una cosa positiva.

Inoltre ci sarebbe il rischio di attacchi terroristici guidati dall’Iran.

Quello del terrorismo in realtà è un problema relativo, molto spesso pilotato dai media.

In che senso?

Se escludiamo i morti in Afghanistan e in Iraq, al mondo in un anno muoiono per attentati terroristici circa millecinquecento persone. Di soli incidenti stradali in un anno in tutto il mondo muoiono un milione e mezzo di persone. Di incidenti di varia natura comprese catastrofi naturali muoiono cinque, sei milioni di persone. Il fatto è che il terrorismo colpisce l’opinione pubblica da un punto di vista emozionale, psicologico e i media su questo ci giocano. Visto come vendono i giornali e come salgono gli ascolti televisivi dopo un attentato, i media hanno bisogno di creare interesse continuo sul terrorismo, ci si buttano a pesce. Purtroppo nella società dell’informazione, che è quella in ci viviamo, siamo tutti molto vulnerabili psicologicamente. In realtà il costo dell’antiterrorismo è molto superiore al valore reale del terrorismo.

Concludendo, si può dire che gli Stati Uniti abbiano cambiato strategia dopo aver scoperto i piani di attacco sul proprio territorio nei confronti dell’ambasciatore saudita?

Certamente, si è assistito a un riavvicinamento ai sauditi e si è messo in atto un piano per superare gli accordi bilaterali con i Paesi del Golfo per passare a un piano comune, una sorta di Nato araba del Golfo. Ci sono dei nuovi piani strategici che ancora non si conoscono, per rafforzare le truppe americane nella zona dopo il ritiro dall’Iraq. Di sicuro rimarrà una o anche due brigate nel Kuwait, mentre verranno disposte navi anfibie schivabili rapidamente nell’area.