C’è qualcosa di patetico nella sorpresa con cui non soltanto molti cronisti ma persino molti commentatori scoprono in queste settimane l’entità della cooperazione tra Francia e Germania, il suo peso sulle sorti dell’Eurozona e dell’Unione europea. Non si tratta di un fiore inaspettatamente sbocciato o del frutto di un’estemporanea sintonia fra l’attuale presidente francese Sarkozy e l’attuale cancelliere tedesco Merkel. E’ invece una realtà profonda, radicata, strutturale, già sorta in precedenza ma poi formalizzata nel 1963 con il trattato dell’Eliseo, da allora in poi sempre cresciuta e infine fortemente rilanciata dal 2003 in avanti: una cooperazione che ha consistenza strutturale nei più diversi ambiti, da quello politico a quello militare, fino al punto che i due eserciti hanno una grande unità in comune, la brigata di fanteria meccanizzata franco-tedesca, dislocata a cavallo del Reno tra l’Alsazia e il Baden-Württemberg.
Presso i governi di ciascuno dei due Paesi c’è poi un Segretario generale per la Cooperazione franco-tedesca, a Parigi francese ma con un vice tedesco, e a Berlino tedesco ma con un vice francese. Molto significativamente l’attuale Segretario generale tedesco è il ministro di Stato in carica per gli affari europei. I due ministeri degli Esteri francese e tedesco collaborano regolarmente, e ciascuno ha una missione di rappresentanza presso l’altro. Giovani diplomatici tedeschi seguono corsi di formazione a Parigi al Quai d’Orsay, e giovani diplomatici francesi fanno lo stesso a Berlino all’Auswärtiges Amt, il ministero degli Esteri della Repubblica Federale. Tra l’altro i due ministeri gestiscono congiuntamente in Internet un portale bilingue della Cooperazione franco-tedesca.
Nella versione francese del messaggio di saluto agli internauti con cui si apre il portale si legge tra l’altro, con toni quasi berlusconiani, che “le couple franco-allemand, moteur de l’Union européenne (…) s’engage quotidiennement pour une Europe concrète, une Europe des résultats”. Nella versione tedesca non si arriva a parlare di coppia, di duo (nella sua variante di genere maschile il francese couple ha anche questo significato) ma solo di strette “relazioni”; il tono è più cauto ma la sostanza non cambia. La realtà di tale stato di cose e le ambizioni egemoniche che lo caratterizzano non sono dunque un mistero ben custodito ma anzi una volontà proclamata.
C’è quindi poco da irritarsi per le battute ironiche e per i sorrisetti d’intesa tra Sarkozy e Merkel. C’è pure poco da lamentarsi per gli incontri bilaterali di Obama con il presidente francese e con la cancelliera tedesca che hanno preceduto l’apertura dei lavori del G20; e soprattutto di Parigi e Berlino che lavorano fianco a fianco per salvare le loro banche onerate dal peso di un gran numero di titoli di Stato greci, coprendo l’operazione con una più o meno subacquea campagna di discredito del nostro Paese.
Questo stato di cose non ci sta bene, ma per arrivare – sia dentro l’Eurozona che dentro l’Unione europea – a un assetto più equilibrato non basta la trovata o il colpo di mano di un giorno. Occorre lavorare a lungo e sistematicamente. Non possiamo certo pensare di infilarci come terzo incomodo in un duetto così affiatato; e nemmeno tentare di compensarlo con un rapporto privilegiato impossibile con la Gran Bretagna, che non solo non fa parte dell’Eurozona e non ci ama, ma ha inoltre un legame altrettanto strutturale ed esclusivo con gli Stati Uniti, dunque addirittura fuori dell’Unione. Però con buone probabilità di successo potremmo a nostra volta costruirci delle analoghe alleanze giocando soprattutto la carta delle nostre attuali o potenziali relazioni all’interno dell’Unione con i Paesi danubiani e balcanici, e all’esterno con il Levante.
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