“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano […]. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche […]. L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra […]. L’Europa non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto“ (Robert Schuman – 9 maggio 1950).



Papa Benedetto XVI pochi giorni prima della sua elezione al Soglio Pontificio, analizzando la situazione dell’Europa e la problematica relativa alle sue radici cristiane, affermava che “nel dibattito intorno alla definizione dell’Europa, non si gioca una qualche nostalgica battaglia di retroguardia della storia, ma piuttosto una grande responsabilità per l’umanità di oggi”. Una responsabilità di tutti gli europei, di tutti i cittadini e di tutti i politici. Se l’Europa non è capace di una memoria storica che le permetta di mantenere viva la sua tradizione culturale e religiosa, non potrà pretendere di spiccare il volo.  



Guardando in faccia la gravissima crisi economico-finanziaria di oggi, che mette in dubbio la costruzione europea, non possiamo dimenticare cosa c’è alla base di quel progetto. Dobbiamo oggi con forza riaffermare lo spirito europeista dei padri fondatori. Oggi, come 60 anni fa, c’è il rischio che la crisi inasprisca le divisioni a tal punto da far crollare tutto il progetto, e storicamente, quando i paesi europei sono stati divisi, si sono fatti la guerra. Non siamo in grado di prevedere che tipo di guerra ci aspetta, di certo rischiamo di finire nell’ignoto, in un buco nero senza uscita.



Il Santo Natale è una grande occasione per ricordarci che l’unità politica dell’Europa è nata grazie al comune ideale cristiano di chi l’ha fondata. Oggi più che mai abbiamo bisogno che venga riaffermato il coraggio dei padri fondatori di intraprendere la via del perdono e della fratellanza, di costruire una nuova, migliore, pacifica e comune Europa. Ma l’Europa si muove? Due notizie lo confermerebbero: la Bce ha erogato liquidità alle banche europee per quasi 500 miliardi di euro. E in più è in corso di elaborazione un “Accordo internazionale su una unione economica rinforzata”, detto Trattato salva-euro, che segue al vertice dei capi di stato e di governo della Ue e della Uem (Unione economica e monetaria europea) dell’8 e 9 dicembre dal quale solo il Regno Unito si è dissociato.

La bozza del Trattato salva-euro non convince particolarmente. L’aspetto più problematico per l’Italia è l’articolo 4, che prevede la riduzione di un ventesimo l’anno del debito pubblico che supera il 60% del PIL. Ciò significa che ove l’Italia riprenda a crescere del 2% l’anno, sarebbe obbligata ad una manovra di 35-40 miliardi di euro l’anno per il prossimo ventennio. Se l’accento di tali interventi fosse dal lato della spesa, si smantellerebbero servizi pubblici e sociali essenziali e si dismetterebbero centinaia di migliaia di dipendenti pubblici. Ciò anche in quanto il titolo IV della bozza sulla convergenza economica, ossia la crescita, prevede meramente l’intenzione di coordinare le riforme. I tempi sono stretti: si vuole giungere alla sigla del documento da parte dei rappresentanti permanenti e alla firma entro marzo, perché dall’inizio di gennaio alla fine di marzo sono in scadenza una moltitudine di titoli del debito pubblico dell’eurozona (sembra 1500 miliardi di euro).

L’accordo sull’unione fiscale, per utilizzare il gergo burocratico, viene visto come uno strumento per rendere meno pesante il rifinanziamento. Difficile pensare che l’accordo potrà essere utile per salvare l’euro se non verrà accompagnato dall’impegno della Banca centrale europea, fatto peraltro manifestatosi attraverso la decisione di Francoforte di fare congrui prestiti alle banche europee in difficoltà. Tutto ciò è certo utile, ma continua ad aggirare il problema dello sviluppo che rimane ancorato a formule di rilancio del progetto europeo come quella degli eurobond. Parimenti, come ricorda da lungo tempo Alberto Quadrio Curzio, occorre razionalizzare l’azione del fondo europeo salva-stati in relazione alle esigenze del debito di alcuni paesi membri.

Lo stesso Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, attribuisce un ruolo prioritario al fondo europeo salva-stati dando per certo che da gennaio dovrebbe essere del tutto operativo per l’impulso che la Bce darà come agente dello stesso. Approvando al più presto il trattato salva-euro, assicurando la piena operatività del fondo europeo Efsf e formalizzando in termini istituzionali il progetto degli eurobond sarà più facile per vari stati dell’Eurozona finanziarsi a interessi ragionevoli, ricapitalizzare le banche, riportare la fiducia e far ripartire la crescita. Ovvero sia realizzare quella visione politico economica che sta alla base del progetto europeo.