Francia e Turchia sono ai ferri corti, dopo che Sarkozy ha fatto approvare una legge che punisce chi nega l’eccidio armeno  con multe e sino ad un anno di carcere. Recep Tayyip Erdogan, primo ministro turco, non l’ha presa bene. Ha richiamato l’ambasciatore turco in patria, annunciato lo stop alla cooperazione militare e la revisione delle relazioni, accusando Parigi di politiche fondate su xenofobia e discriminazione. Va da sé che, il processo di integrazione europea del Paese, con questa ennesima prova di forza, diventa sempre più improbabile. «In realtà, i rapporti con l’Europa stanno subendo una battuta d’arresto ormai da qualche anno», spiega, interpellata da ilSussidiario.net Valeria Giannotta, ricercatrice in Relazioni internazionali della Cattolica di Milano che, da tre anni, vive a Istanbul. Secondo l’esperta, «dal secondo mandato Erdogan, nel 2007, il riformismo europeo si è raffreddato. La Turchia non ha digerito l’opposizione di Francia e Germania alla sua entrata nell’Ue; si è vista, in particolare, cambiare le carte in tavola per il fatto che la proposta di una piena membership si è trasformata in una partnership privilegiata». Un sogno infranto. «La reazione turca, quindi,  è del tutto «in linea con il carattere del Paese, con il suo nazionalismo e on il suo orgoglio. La legge di ieri è stata interpretata come l’ennesima mossa per impedire la sua entrata in Europa e come un’interferenza negli propri affari interni». Nulla lascia intendere, in ogni caso, che Parigi fosse in buona fede. «Non credo che l’opinione pubblica francese sia interessata all’eccidio armeno, né che la maggior parte della popolazione sappia in cosa consiste. Bisogna tener presente, invece, che la lobby armena, in Francia è potentissima a Sarkozy si assicura, in questo modo, 500mila voti». Ankara ha considerato la misura una chiara manovra elettorale per conquistare voti a dispetto dei rapporti storici tra i due Paesi. «Ieri Erdogan ha detto chiaramente che la Francia sta mettendo in crisi un rapporto di un secolo di storia, andando contro i principi della propria rivoluzione, violando, cioè, la libertà d’espressione». Che, per inciso, in Turchia, non esiste. «Ci sono in carcere, infatti, circa 70 giornalisti e accademici, accusati, senza prova alcuna, di aver complottato contro il governo. Sul fronte religioso, inoltre, i turchi si dichiarano tolleranti; ci sono, effettivamente, delle chiese cristianae Ma racchiuse e protette da cancelli». Erdogan, a questo punto, procede verso l’archiviazione del sogno europeo, e si concentra su altri obiettivi.



«La Turchia vuole ergersi a leader non solo locale, ma globale, in virtù della propria crescita economica. Lo si è visto quando, ad esempio, ha votato contro le sanzioni contro l’Iran. Nel mondo arabo il premier turco è acclamato come leader perché ha saputo combinare i valori liberali (benché la democrazia turca sia ben lungi dagli standard occidentali) con la tutela dei valori tradizionali dell’islam».



 

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