Per i cristiani pakistani è un Natale tra la speranza e il timore di attentati. Ilsussidiario.net ha chiesto di raccontarlo a Xavier Patras William, giornalista cristiano e attivista per i diritti umani della città di Rawalpindi. William ci descrive la sua messa di mezzanotte in una chiesa blindata per la paura delle autobombe dei kamikaze, con i commando dell’Esercito a presidiare il sagrato e le parrocchie che si sono organizzate con servizi di sicurezza interni perché non si fidano delle forze dell’ordine. Nello stesso tempo però per il giornalista la Natività è anche un motivo di grande speranza, che i cristiani pakistani testimoniano agli stessi musulmani. Il Natale è infatti una festa molto sentita dall’intero Paese, e quindi un’occasione di riconciliazione in una nazione senza pace dove anche ieri i talebani sono tornati a colpire causando nove morti e 17 feriti.
William, come vivono il Natale i 20 milioni di cristiani presenti in Pakistan?
I cristiani pakistani celebrano il Natale con grande solennità partecipando in massa alle funzioni religiose. In ogni casa è stato preparato un albero di Natale, ma non mancano le tensioni soprattutto in alcune aree del Paese come il Punjab centrale. Lo scontro politico tra Stati Uniti e Pakistan ha peggiorato la vita quotidiana dei cristiani, che sono accusati di essere degli agenti dell’Occidente.
In che senso?
Per gli estremisti islamici e i fondamentalisti, chi è cristiano non può essere veramente pakistano. Chi non crede in Maometto quindi è considerato una sorta di quinta colonna di Europa e Stati Uniti, e ogni volta che si verificano delle tensioni internazionali i cristiani in Pakistan sono subito presi di mira. Pochi mesi fa, quando il pastore Terry Jones negli Stati Uniti ha minacciato di bruciare il Corano, come reazione è stato appiccato il fuoco a diverse chiese del nostro Paese.
Quando ieri ha partecipato alla messa di mezzanotte era impaurito per la sua incolumità?
Sono diversi i cristiani che temono per la loro sicurezza. Il governo ha cercato di mettere in atto forme rigorose di sorveglianza dispiegando dei commando di fronte a tutte le principali chiese, soprattutto di fronte a quelle cattoliche e protestanti. In occasione del Natale infatti il rischio attentati diventa più elevato. Grazie agli sforzi del governo però attualmente nessuno in Pakistan ha paura, a essere protetti sono non solo i cristiani ma anche altre minoranze religiose come gli Ahmadi e gli induisti, che sono stati a loro volta attaccati e rapiti diverse volte.
Quindi il presidio delle forze dell’ordine è di per sé sufficiente a difendere le chiese?
Le chiese in realtà hanno deciso di non dipendere dall’aiuto delle forze dell’ordine, e ciascuna parrocchia ha organizzato a sua volta la propria sicurezza. L’anno scorso c’erano state diverse vittime in seguito agli attacchi degli estremisti contro alcune chiese e da allora i cristiani preferiscono non dipendere dalle forze dell’ordine del governo.
Il giorno di Natale voi cristiani pakistani sarete costretti al lavorare?
Il 25 dicembre è una festa nazionale perché è il giorno in cui è nato il fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah. Anche se ovviamente non è considerata festività in quanto Natale.
Con i suoi colleghi musulmani, si è scambiato gli auguri di Natale?
Le persone in Pakistan sentono molto il Natale. L’abitudine, anche tra i musulmani, è quella di scambiarsi immagini natalizie, e molti dei miei amici di religione islamica mi hanno quindi inviato uno di questi biglietti per augurarmi Buon Natale.
Quindi il Natale è un’occasione concreta di pacificazione tra cristiani e musulmani?
Sì, certamente. Io per esempio ho partecipato a un programma organizzato da una parrocchia cattolica di Islamabad, il cui obiettivo era sottolineare l’armonia tra le religioni e accentuare il fatto che il Natale è un’opportunità per cristiani e musulmani per lavorare insieme in modo pacifico.
Questo significa che i cristiani in Pakistan hanno gli stessi diritti dei musulmani?
Assolutamente no, l’eguaglianza tra cristiani e musulmani in Pakistan non esiste ancora. Il caso più eclatante è quanto avvenuto nel 1997 nella cittadina cristiana di Shanthinagar, che fu completamente incendiato e rasa al suolo dai musulmani. E non si è trattato dell’unico caso in cui un’intera cittadina abitata da cristiani in Pakistan è stata distrutta. Quindi è un dato di fatto: i cristiani in Pakistan sono presi di mira, perseguitati e trattati in modo ingiusto. Noi quindi chiediamo uguali diritti in Pakistan, a partire dal sistema educativo e dei libri scolastici.
Il Natale può essere anche un motivo di speranza per i cristiani perseguitati?
Il Natale è la celebrazione della nascita del nostro Salvatore, e in quanto tale certamente è un motivo di speranza. Nello stesso tempo rappresenta un’opportunità perché in occasione del Natale 2011 abbiamo deciso di lavorare insieme, per individuare una strategia grazie a cui riunire tutti i cristiani e dare un segnale di speranza a quanti a causa delle difficoltà dell’attuale situazione la stanno perdendo. Il Natale infatti è un messaggio per tutti, non solo per gli stessi cristiani ma per l’intera umanità.
Il Pakistan Christian Congress ha fatto appello all’Onu affinché riconosca lo status di rifugiati ai cristiani pakistani. Lei che cosa ne pensa di questa iniziativa?
Sono totalmente contrario, perché l’idea che mi sto sforzando di sostenere è che noi cristiani siamo pakistani proprio come i musulmani. Siamo nati nel nostro Paese e tutto ciò che abbiamo ottenuto è stato grazie alla nostra nazione. Se dovessimo quindi ricevere lo status di rifugiati, perderemmo la nostra nazionalità e la nostra identità. Nonostante in diverse aree del Pakistan gli estremisti ci considerino come degli stranieri, siamo animati da uno spirito patriottico molto forte. Ci sono diversi cristiani nelle posizioni più in vista del Paese, che lavorano in modo onesto per accrescere il benessere della nazione. Nella storia del Pakistan il ruolo dei cristiani è sempre stato molto forte. Per celebrare questo ruolo, ogni 11 agosto si tiene la Giornata delle Minoranze, per riconoscere quanto i non musulmani hanno fatto per il Paese.
(Pietro Vernizzi)