“Gli attentati jihadisti in Iraq scateneranno un’escalation di violenza che rischia di travolgere prima la Siria, poi il Libano e quindi tutto il Medio Oriente. Solo un intervento attivo del Vaticano e l’unità tra i cristiani possono salvare l’intera area dalla guerra”. A sostenerlo è Fadia Kiwan, docente in Scienze politiche all’University of Saint Joseph di Beirut e consulente della Lega araba per l’Iraq. Kiwan rivolge un personale appello al Papa Benedetto XVI, che considera l’unica autorità morale in grado di farsi ascoltare sia dai sunniti sia dagli sciiti, le due sette musulmane il cui conflitto sta spaccando non soltanto l’Iraq, ma anche il Libano e la Siria. Lo dimostrano gli attentati jihadisti a Baghdad, che hanno provocato 72 morti giovedì e altri sette ieri, ma anche l’autobomba che venerdì ha devastato Damasco.
Professoressa Kiwan, qual è l’avvertimento politico lanciato da questi attacchi?
Uno solo: che la violenza continuerà ad aumentare. All’origine c’è un grave problema di divisione del potere tra sunniti e sciiti in Iraq, che gli americani non sono stati in grado di risolvere prima di abbandonare il Paese. L’attuale regime di Baghdad non soddisfa la popolazione sunnita, ma neanche gli stessi sciiti che sono molto frammentati al loro interno. Il futuro che ci attende sarà quindi caratterizzato dall’instabilità e da una nuova ondata di violenza.
Che cosa ha scatenato la nuova Jihad?
E’ un problema di natura politica che riguarda la divisione del potere a livello locale. I partiti politici irakeni stanno cercando di trovare dei sostenitori al loro esterno, sfruttando le tensioni tra Iran e Arabia Saudita per consolidare la loro autorità. Non dobbiamo quindi pensare che all’origine ci siano dei grandi attori internazionali, ma dei problemi nazionali in Iraq.
Quanto è elevato il rischio che la Jihad iniziata in Iraq possa coinvolgere anche Siria e Libano?
Il conflitto in tutti e tre i Paesi assume i connotati settari dello scontro tra sunniti e sciiti. E se continuerà a crescere in uno dei tre Stati, come per esempio l’Iraq, il rischio è che la violenza si estenda agli Stati vicini. Ciò che ci attendiamo è un’escalation di violenza. Ciascuno dei tre Paesi ha gravi rischi che questi conflitti possano esplodere. Il Libano se volesse potrebbe restarne fuori, ma di fatto nessuno dei protagonisti della politica nazionale si sta sforzando per impedire il peggio. Ciascun protagonista sta cercando di sfidare gli altri, pensando di riuscire a prevalere grazie al sostegno dei suoi alleati stranieri.
L’attentato in Siria ha un nesso con quelli in Iraq?
Sì, e anche in Siria se non si troverà una soluzione, il regime proseguirà gli scontri su base settaria, perché sa di avere chi lo sostiene e non abbandonerà il potere con la stessa facilità di Ben Alì e Mubarak. Se Assad non troverà un compromesso grazie all’intervento della Lega araba, l’escalation di violenza tracimerà dall’Iraq alla Siria. E non sono sicura che il Libano riuscirà a salvarsi. La capillare presenza di Hezbollah, i campi profughi, i confini con la Siria, i gruppi islamici armati fanno sì che ci siano troppi elementi che possono sfuggire al controllo del governo di Beirut, portando da un momento all’altro al verificarsi di incidenti violenti.
Quale sarà il destino dei cristiani, se gli scontri settari tra sunniti e sciiti dovessero esplodere?
I cristiani saranno vittime di entrambe le parti, perché sono divisi al loro interno: alcuni di loro sostengono i sunniti e altri gli sciiti. Se ci sarà uno scontro settario, in ogni caso si conteranno delle vittime cristiane. E questo incoraggerà i cristiani ad abbandonare progressivamente il Libano. Questo è il pericolo più grave, anche perché nel mio Paese alcuni cristiani vivono in mezzo a comunità sunnite, altri in quelle druse o sciite. Questa è la realtà geografica, demografica ed economica dei cristiani libanesi. Uno scontro settario significherà quindi letteralmente la morte del mio Paese.
Che cosa possono fare i cristiani in questa difficile situazione?
I cristiani dovrebbero giocare un ruolo per moderare il conflitto tra sunniti e sciiti. Il fatto che i cristiani in Medio Oriente non formino della comunità chiuse è un vero miracolo, ed un bene per l’intera società. I cristiani arabi non sono tutti alleati di un’unica fazione, e quindi possono contribuire a ridurre le tensioni tra le due parti. Grazie a questa strategia possono salvare il Medio Oriente, e nello stesso tempo conquistare un nuovo ruolo consolidando la loro posizione sociale. Mentre i lunghi anni di violenza e di scontri hanno portato a una marginalizzazione dei cristiani, che da un punto di vista demografico si sono trasformati in una minoranza nello stesso Libano.
In Iraq i cristiani sono una minoranza perseguitata. Perché ritiene che possano trasformarsi in ago della bilancia?
Dovrebbero e potrebbero farlo con successo. E per ottenere risultati in questa difficile impresa, la loro unica arma è l’unità. I cristiani devono trovare un’unica strategia e visione del Paese, esercitando un ruolo di moderatori. Sono in grado di farlo perché né sunniti né sciiti hanno una visione chiara del futuro del Paese. Ciascuno dei due gruppi vuole l’intero Paese solo per i propri interessi, ma l’Iraq non avrà un futuro se l’unica prospettiva politica è il benessere di una delle diverse comunità che lo compongono. Occorre trovare una soluzione alternativa.
Quale ruolo può giocare il Vaticano in Medio Oriente?
Innanzitutto deve essere un ruolo di coinvolgimento attivo, e non di spettatore passivo. Il Vaticano può essere in grado di aiutare a ridurre le tensioni, e non deve limitarsi a chiedere che i cristiani siano protetti, perché in questo modo non si risolve il problema alla radice. I cristiani non saranno mai abbastanza sicuri, finché il Medio Oriente rischia una nuova guerra. Questo conflitto coinvolgerà chiunque e ciascuno di noi ne è una vittima potenziale. Quello che intendo rivolgere è un appello personale al Papa Benedetto XVI. Gli chiedo di intervenire perché il dialogo tra i diversi leader spirituali musulmani possa individuare il modo migliore per riportare la stabilità in quest’area. Il Vaticano ovviamente non ha truppe, ma può esercitare un ruolo morale decisivo grazie al suo prestigio e alla sua autorità.
Ma sunniti e sciiti presteranno ascolto alle parole del Papa?
I cristiani sono parte del Medio Oriente. Gesù Cristo è nato a Betlemme, cresciuto a Nazareth ed è vissuto a Gerusalemme, le prime comunità cristiane si sono formate in Palestina, e oggi sono presenti in ciascuno dei Paesi del Medio Oriente. Attraverso queste comunità, il Papa dovrebbe quindi cercare di rivolgersi a sunniti e sciiti. E questi ultimi potrebbero ascoltarlo. A volte le guerre incominciano e non hai nient’altro da fare: in queste situazioni, hai bisogno di qualcuno che ti dia un’opportunità per venirne fuori. L’autorità morale del Vaticano può rappresentare proprio questa nuova opportunità che finora è mancata al mondo arabo.
(Pietro Vernizzi)