Mario Monti è un professore nato, come ci si ricorda ancora a Varese dove vide la luce e fece i suoi primi passi con la stessa aria professorale che da allora ad oggi mai più l’avrebbe abbandonato. Nel quartiere di Sant’Ambrogio ai piedi del Sacro Monte – dove per molti anni con la famiglia passava le estati anche dopo il rientro a Milano al termine della seconda guerra mondiale – c’è ancora chi ricorda che suo padre, alto dirigente della Banca Commerciale Italiana, agli amici che gli chiedevano che cosa pensasse di fare da grande il giovane Mario, rispondeva sospirando che invece di puntare alla Comit dove ovviamente avrebbe avuto porte aperte, “al vör faa el prufesur…”.
Beninteso il professor Mario Monti di strada ne ha poi fatta molta, ma professore è nato e professore è rimasto, come si vede anche adesso che è capo di governo. Lo scorso 29 dicembre, in occasione della sua conferenza stampa di fine anno, è bastato che prendesse la parola perché come per incantesimo la sala stampa di palazzo Chigi si trasformasse in un’aula della Bocconi e i cronisti presenti in una platea di compunti studenti bocconiani scrupolosamente chini sui loro blocchi di appunti. Dopo aver promesso un breve intervento di apertura, Monti ha poi parlato invece per circa 50 minuti con la sua tipica voce straordinariamente monocorde (nel senso proprio e non figurato della parola) spiegando il proprio progetto politico per l’anno entrante con grande precisione, in modo semplice e qua e là addirittura umile nella forma ma in effetti perentorio nella sostanza.
Fatto senza molti precedenti, la prima rete televisiva della Rai ha trasmesso in diretta l’intera conferenza stampa, posponendo per questo la diffusione del Tg1 in programma alle 13,30. Grazie a ciò adesso tale intervista, durata dalle 12 fin quasi alle 14, si può ritrovare integralmente su vari siti Internet. A chi non l’avesse vista consiglio di aver la pazienza di andarsela a vedere da capo a fondo. Si tratta di un documento interessantissimo dal quale si ricava in modo esauriente un quadro molto chiaro sia del programma che della filosofia politica dell’ attuale premier e del suo governo. Questo tanto più considerando che mai prima di lui un presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana ha avuto sui propri ministri un potere di direzione altrettanto effettivo, essendo costoro non capi partito o capi corrente con un loro seguito politico e dei loro obiettivi, bensì tecnici posti al suo servizio da chi lo ha nominato, ossia il presidente della Repubblica. E tra l’altro tecnici che se congedati rischiano (relativamente) ben più di lui, che ha il grande paracadute supplementare costituito dal seggio di senatore a vita che per l’appunto nessuno gli potrà mai togliere finché vive.
Tornando all’intervista in questione, essa come si diceva va ascoltata attentamente parola per parola, comprese le domande e risposte della sua fase conclusiva. Da essa emergono con grande chiarezza prospettive e limiti del nuovo governo. È perciò opportuno che ne tenga attento conto chi nella società civile italiana avesse tutte le idee e tutta la consistente e non compromissoria presenza nella vita pubblica che occorrono per non subire passivamente l’operazione politica avviata dal presidente Napolitano, ma invece per integrarla in modo positivo in tutta la misura del possibile. In tale orizzonte merita fra le altre cose di rilevare che la conferenza stampa di fine anno sembra aver ancora una volta confermato che il nuovo governo non ha una politica estera se non (nella misura in cui la si può ancora ritenere tale) quella riferibile ai rapporti con l’Unione europea, peraltro vista per lo più come una specie di babau.
Un gigante minaccioso di fronte al quale dobbiamo stare con la coda tra le gambe piuttosto che un’unione tra pari, dove, abbiamo tanto il dovere di ascoltare e di dare quanto il diritto di dire e di chiedere. Niente invece – se non un vago rinvio, di nuovo, alla preoccupazione di stare in riga con l’”Europa” – per quanto riguarda il Mediterraneo e il sudest europeo, l’essere adeguati interlocutori dei quali ci dà in sede europea un peso che altrimenti non avremmo. Niente di niente per quanto concerne poi il resto del mondo. Anche a voler restare rigorosamente dentro il perimetro di un programma di sola politica economica, come Monti ha ribadito, come fa a non avere una vera politica estera il governo di un Paese come il nostro, per il quale l’import/export non è un’aggiunta supplementare bensì un motore primario della grande economia manifatturiera che noi siamo?
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