«Anche noi magistrati oggi siamo in piazza per chiedere un nuovo Egitto e reclamare uguali diritti per cristiani e musulmani». E’ la testimonianza in presa diretta di Hosam Mikawi, presidente del Tribunale del Cairo Sud, intervistato da Ilsussidiario.net mentre si trova in piazza Tahrir insieme a centinaia di migliaia di manifestanti. Mikawi sottolinea in tono pacato che occorre prendere atto del fatto che Mubarak per 30 anni ha violato la Costituzione. Nel frattempo, in sottofondo si sentono gli slogan della protesta e di tanto in tanto il giudice si deve interrompere per gli elicotteri dell’esercito che sorvolano a bassa quota.
«L’esercito sta difendendo i manifestanti – sottolinea – ma chi sceglierà tra la rivoluzione e il rispetto degli ordini sono le persone comuni che sono scese in strada. Possiamo concedere a Mubarak i nove mesi fino alla fine del suo mandato, purché non si ricandidi e avvii da oggi stesso un vero cambiamento». E come aggiunge Mikawi, se gli egiziani hanno acquistato una nuova coscienza di sé lo si deve anche al Meeting del Cairo dello scorso ottobre, grazie a cui si è formata una rete di rapporti decisiva nel momento in cui si è scelto di andare in piazza.
In quanto giudice, perché ha scelto di manifestare contro Mubarak?
Non tutti i magistrati in questi giorni hanno preso una posizione nei confronti della situazione del nostro Paese. Ma un gruppo di giudici ha scelto invece di recarsi in piazza Tahrir, il cuore della protesta, perché si sono ricordati di essere innanzitutto egiziani, e solo in un secondo momento magistrati. Tra questi ci sono anch’io, per chiedere in quanto giudice la nascita di un nuovo Egitto, una giustizia che valga per ogni persona e l’uguaglianza tra musulmani e cristiani sotto tutti i punti di vista.
C’è il rischio che i fondamentalisti si impossessino di questa rivolta spontanea?
Fino a questo momento ho visto tantissimi giovani, molto ben organizzati, che ricevono chiunque arrivi in piazza Tahrir con delle bandiere egiziane. E sottolineano che sotto la nostra bandiera non c’è nessuna differenza tra chi si chiama Mohammed e chi si chiama Michele, o Giovanni. «Noi siamo il popolo, musulmani e cristiani, senza nessuna differenza», ripetono. Il governo si aspettava che durante le proteste sarebbero sorti problemi tra islamici, copti, Fratelli musulmani e gli altri gruppi politici. Ma non è stato così. Quando i Fratelli musulmani provano a prendere la parola, la gente li interrompe dicendo: «Ciascun egiziano è protetto da tutti gli altri egiziani, odiamo chi insiste sulle differenze religiose». Devo ammettere che lo trovo strano, è difficile come posizione, ma è quello che sta avvenendo.
Chi sono le persone da cui è circondato in questo momento?
Persone normalissime, parlando con loro si capisce che hanno un lavoro, un buono stipendio, una casa, una o più macchine. Ma ciascuno di loro è venuto per protestare, perché sono egiziani e vogliono potersi esprimere liberamente vivendo come chiunque in Europa.
Il Meeting del Cairo ha influito su quanto sta accadendo in questo giorni?
Il Meeting del Cairo ha favorito il sorgere di una nuova coscienza da parte degli egiziani che sono in piazza a protestare. Per esempio, durante quei giorni ho conosciuto tantissime persone. E una volta che il Meeting si è concluso, continuavano a chiamarmi e a chiedermi che cosa potevano fare, perché sentivano il bisogno di impegnarsi. Per questo, sono certo del fatto che il Meeting del Cairo ci ha fatto sorgere un nuovo interesse e ci ha dato una possibilità che prima non c’era. Legata al fatto che centinaia di giovani, volontari o semplici partecipanti, si sono incontrati e parlati per la prima volta.
Secondo lei quali sono le responsabilità di Mubarak?
Il nostro Parlamento è una messa in scena e tutti gli egiziani lo sanno. Nel corso delle ultime elezioni, moltissimi giovani non hanno potuto esercitare il loro diritto di voto, per una serie svariata di motivi. E quindi, rendendoci conto che non potevamo cambiare la situazione con le elezioni, siamo partiti dai circoli privati, i club sportivi, le università, le scuole e perfino su Facebook e Twitter. Il 25 gennaio siamo scesi in piazza: è stata una protesta pacifica e civile, ma la polizia ha iniziato a sparare sui giovani, e quando ci siamo ribellati è fuggita.
Lei però è un magistrato. Da un punto di vista legale, come giustifica la rivoluzione?
Da un punto di vista legale, la questione è che l’Egitto non è una dittatura militare e Mubarak è al potere in quanto è eletto dal popolo. Deve quindi rispettare la Costituzione, che per esempio prescrive che il presidente debba nominare un vice. Per 30 anni Mubarak ha fatto finta di dimenticarsene, e solo ora che la folla è scesa in piazza ha deciso di farlo e di tenere conto dei diritti del popolo. E’ per questo che gli egiziani sono infuriati. Come vicepresidente ha scelto Omar Suleiman, come capo del governo Ahmad Shafiq: entrambi sono due militari. Se questa è la sua idea di cambiamento, è come se volesse curare un malato grave con l’aspirina.
Che cosa si aspetta che faccia l’esercito nelle prossime ore?
In questi giorni stanno proteggendo i manifestanti. Quando venerdì la situazione è diventata incandescente, e la polizia ha iniziato a sparare, le camionette dell’esercito si sono messe in fila per permettere ai civili di ripararsi ed evitare di essere colpiti. Sono stati i militari a obbligare gli agenti a cessare il fuoco.
Però i generali non si sono ribellati a Mubarak…
La decisione ultima non spetta ai generali. Chi sceglierà se obbedire agli ordini o cambiare tutto, chi ha in mano le sorti del Paese, chi può garantire la sicurezza in Egitto, sono le persone che si trovano nelle strade a protestare. Sono loro a dover giudicare quale sarà la scelta migliore. Non sono in grado di prevedere che cosa accadrà ma, al contrario di quanto fatto finora da Mubarak, spero che si muovano nel rispetto della Costituzione.
In che senso?
La carica di Mubarak scade tra nove mesi. Le persone più prudenti in Egitto suggeriscono di lasciarlo al suo posto fino alla fine del mandato, ma a patto che non si ricandidi e avvii da oggi stesso un vero cambiamento. Fino a questo momento però, le sue scelte hanno dato l’impressione che non si stia muovendo nella direzione giusta, né che stia ascoltando la piazza. Forse perché le persone di cui si è circondato non lo stanno consigliando nel modo più opportuno.
(Pietro Vernizzi)