La caduta di Mubarak rende felice mezzo mondo, ma preoccupa Israele. Il premier Netanyahu considerava il rais un elemento di forte stabilizzazione di tutta l’area medio-orientale e un vicino affidabile. La caduta di Mubarak desta una forte preoccupazione in Israele, sia nell’establishment che tra l’opinione pubblica. Un parere controcorrente è quello di Zeev Sternhell, uno tra i principali intellettuali progressisti israeliani, intervistato dal quotidiano online Linkiesta.
«Il nostro interesse è che in Egitto ci sia una vera democrazia – afferma Sternhell – mentre non possiamo guardare con favore ad una presa di potere dei Fratelli Musulmani. Non possiamo apprezzare il radicalismo in nessuna forma, né in Egitto né a Gaza, anche se i radicali sono eletti in maniera democratica». Per questo la grande rivoluzione egiziana «è un segno di maturità degli egiziani che nel breve termine potrebbe portare dei problemi per noi ma nel lungo potrebbe essere positiva».
Secondo Sternhell la rivoluzione egiziana potrebbe innestare un meccanismo virtuoso in tutta l’area.
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Se è vero che «il concetto di democrazia non si esaurisce nell’esercizio del voto e significa prima di tutto diritti umani e libertà», è anche assolutamente necessario appoggiare un misurato processo di riforme: «dovremmo essere pronti per questo cambiamento e collaborare con questi movimenti, soprattutto in Egitto».
Un ragionamento forte, inconsueto nel panorama israeliano odierno, che contiene elementi di realpolitik: «Noi dobbiamo capire che il Medio Oriente sta cambiando e che queste dittature che, secondo noi israeliani servivano i nostri interessi, non sono eterne».
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