Hanno tenuto tutto il mondo con il fiato sospeso resistendo sottoterra per 69 giorni a 800 metri di profondità. I 33 minatori cileni sono subito diventati degli eroi per l’opinione pubblica di tutto il mondo. Un libro pubblicato in questi giorni svela però i retroscena inediti di quegli oltre due mesi di prigionia.



DROGA NELLE LETTERE – Come la droga, infilata clandestinamente nelle lettere dei familiari, che per poco non scatenava accese rivalità tra i minatori intrappolati. Lo scrive il giornalista del New York Times, Jonathan Franklin, nel nuovo libro «Los 33». I 33 cileni avrebbero anche cercato un ulteriore sollievo durante i loro 69 giorni che hanno trascorso sottoterra chiedendo delle bambole sexy gonfiabili. E quando, come scrive David Wilkes sul Daily Mail, questo è stato rifiutato perché il medico incaricato temeva che il fatto di dover condividere le bambole avrebbe creato delle forme di gelosia, i minatori si sono dovuti accontentare di poster con alcune modelle.
 



LITIGI PER LA MARIJUANA – Ma secondo il libro la presenza di marijuana, inviata loro attraverso il condotto di comunicazione, avrebbe rischiato di compromettere lo spirito di gruppo dei minatori. Uno di loro, Samuel Avalos, ha osservato come un gruppo di suoi colleghi si sarebbe nascosto agli occhi degli altri per fumare la droga. Ma ha aggiunto che «non me l’hanno mai offerta», benché egli tentasse disperatamente di trovare sollievo allo stress della sua situazione difficile. Il giornalista del New York Times, che era riuscito a ottenere un accesso speciale alle operazioni di salvataggio, ha dichiarato che le piccole quantità di droga «hanno creato tensioni ancora più gravi invece di alleviarle».
 



LE BAMBOLE GONFIABILI – Nel libro si aggiunge che alcuni ufficiali preoccupati hanno discusso la possibilità di utilizzare dei cani poliziotto per intercettare le sostanze stupefacenti prima che arrivassero a destinazione. La «più grande necessità» degli uomini, tuttavia, erano le donne, ha dichiarato Franklin, e i medici hanno lavorato per «placare la crescita del desiderio sessuale» dei minatori. Il medico Jean Romagnoli, che monitorava le condizioni fisiche dei 33 lavoratori mentre erano intrappolati nelle miniere di oro e rame di San José nel deserto di Atacama nel nord del Cile, ha dichiarato che una volta un donatore ha offerto dieci bambole gonfiabili per i minatori. Ma il dottore ha spiegato di essersi subito opposto: «Gli ho risposto che o donava 33 bambole o nessuna. Altrimenti avrebbero litigato per le bambole gonfiabili, chiedendosi ogni volta di chi fosse il turno, o chi si stesse divertendo con la “fidanzata”. Accusandosi l’un l’altro di stare flirtando con la bambola gonfiabile altrui».

RIVISTE PORNO – Al loro posto è stato quindi spedito sottoterra il famoso tabloid cileno «La Cuarta», famoso per le sue modelle formose conosciute anche come «Bomba 4», e alcune immagini pornografiche. Il libro racconta inoltre come nelle prime due settimane, mentre i minatori pensavano di essere stati condannati a morire di fame, i loro pensieri erano rivolti alla squadra di uruguaiani sopravvissuti a un incidente aereo nelle Ande mentre stavano volando in Cile per una partita di rugby nel 1972 e che, dopo essere rimasti per diversi giorni senza cibo, avevano iniziato a mangiare i loro compagni che man mano morivano.
 

LE PREGHIERE E IL «MIRACOLO» – Dopo due settimane i minatori infatti erano stati costretti a razioni da un cucchiaio di tonno ogni tre giorni e, aspettandosi di morire, avevano scritto lettere di addio alle loro famiglie. Arrivati alle ultime due scatolette di tonno, hanno alzato le mani al cielo e pregato Dio perché si moltiplicassero. Al posto di quel miracolo, se ne è verificato un altro altrettanto inaspettato: il 17esimo giorno dal disastro, lo stretto condotto di comunicazione ha infranto l’ultima barriera riuscendo a raggiungerli. Facendo sì che il cibo potesse essere spedito nel cunicolo in cui si trovavano. Non a caso Mario Sepulveda, il secondo minatore estratto dalla galleria di San José, ha descritto così quei primi 17 giorni di prigionia: «Sono stato con Dio e con il diavolo. Hanno litigato per avermi. Dio ha vinto, io ho preso la sua mano, la migliore. Non ha mai vacillato la mia certezza che Dio mi avrebbe tirato fuori».

UNA «PARTITA» DI 69 GIORNI – Sono parole che testimoniano come la vicenda dei 33 minatori cileni non possa essere ridotta ai loro momenti di debolezza, ma sia stata una tremenda avventura di lotta per sopravvivere, dove la fede e il coraggio sono stati la chiave vincente. Una «partita» durata in tutto 69 giorni, attraversati da momenti di angoscia e anche di debolezza. I media prima hanno raccontato la favola di un gruppo di eroi senza macchia e senza paura, per divertirsi ora a smontarla diffondendo i particolari più scabrosi della vicenda. La verità è che i 33 minatori erano uomini come tutti gli altri, e questo non fa che mettere in ulteriore risalto la loro prova di coraggio nelle viscere della terra.
 

(Pietro Vernizzi)