L’aviazione libica ha attaccato i manifestanti con i caccia bombardieri, mentre si avvicendano voci contrastanti sulle sorti di Gheddafi.

La Libia sprofonda nel caos. Il ministro della difesa si è dimesso, a causa del ricorso eccessivo alla violenza contro i manifestanti antigovernativi,  mentre l’esercito è diviso al suo interno. Si teme che il capo di Stato maggiore aggiunto El Mahdi El Arabi possa fare un colpo di Stato e assumere il potere per porre fine ai disordini. Intanto, a Tripoli è «caccia ai dimostranti». I Comitati rivoluzionari, le truppe filogovernative alla base del potere di Gheddafi,  stanno cercando per le vie della città gli oppositori al regime. Si teme un ennesimo bagno di sangue.



Intanto polizia e forze di sicurezza  hanno abbandonato al-Zawiya, nella Libia occidentale, dove un casa del rais è stata data alle fiamme. Anche la Rete dei liberi ulema avrebbe invitato ad appoggiare la rivolta: Intanto, l’esercito si sarebbe unito ai manifestanti, e il Parlamento e la sede del Governo sarebbero stati date alla fiamme, scondo numerosi testimoni locali. Ancora incerte le sorti di Muhammar Gheddafi, il quale sarebbe fuggito dal Paese, in Venezuela, secondo alcuni, tra cui il ministro degli Esteri britannico, ancora in Libia, secondo i manifestanti. Nel frattempo, la Federazione internazionale per i diritti umani, Fidh, dichiara che i morti dall’inizio delle contestazioni sarebbero tra i 300 e i 400 «per una cifra più vicina ai 400 che ai 300»; Human Rights Watch, invece, ne ha calcolato  233 morti.



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Diverse città sarebbero finite in mano ai manifestanti: Tarhouna, in Tripolitania, Bengasi, Beida, Sirte, Zaouia e Gialo, nel deserto nei pressi dell’oasi di Cufra.

 

Saif al-Islam, il figlio di Muhammar Gheddafi ha minacciato di durissime ritorsioni, in un messaggio tv inviato alla nazione nel corso della notte. Saif al-Islam ha imputato la rivolta ad una complotto organizzato da «forze straniere» e «separatisti»  e ha avvisato i libici: «Arriveranno le flotte americane e europee e ci occuperanno». Poi, l’avvertimento: «il nostro non è l’esercito tunisino o egiziano. Combatteremo fino all’ultimo uomo, all’ultimo proiettile». Dalle parole ai fatti, il passo è stato breve. L’aviazione avrebbe, infatti, organizzato un raid aereo contro i manifestanti per mezzo dei caccia aerei da combattimento.



 

In Italia, infine, di fonte all’ambasciata libica un decine di manifestanti provenienti dalla Libia e dal Nord Africa si sono riuniti per protestare contro il premier con slogan come “Berlusconi fermo di fronte al massacro del popolo libico”. «Siamo preoccupati per questo silenzio. Berlusconi non può liquidare la faccenda con un “non disturbo”, sottolinea il presidente della comunità del mondo arabo in Italia, Foad Aodi».