«La rivolta che sta attraversando l’intero Medio Oriente è la conseguenza dell’esplosione delle contraddizioni del capitalismo, il cui effetto è quello di produrre nello stesso tempo profitti e disoccupazione. L’unica possibile risposta sono le imprese non profit, una realtà molto radicata nella società islamica dove le banche non sono fondate sul versamento degli interessi». E’ l’analisi di Giulio Sapelli, editorialista del Corriere e professore di Storia economica all’Università di Milano, in una delle giornate più tragiche per le proteste contro i regimi nordafricani. Ieri l’aeronautica libica ha bombardato la folla a Tripoli, mentre Muammar Gheddafi ha dichiarato che non intende lasciare e che «morirà da martire». In un momento in cui è difficile prevedere gli sviluppi futuri, per Sapelli «sarà la democrazia a incrementare lo sviluppo nel Medio Oriente, consentendo ai cristiani di diventare uno dei cuori della nuova crescita economica dei Paesi a maggioranza musulmana».



Professor Sapelli, perché le proteste sono scoppiate proprio in Paesi dove il Pil era in crescita?

Innanzitutto perché i parametri con cui gli economisti giudicano la realtà sono errati. Invece di basarsi sui livelli di occupazione, guardano solo al Pil. In Egitto i profitti stavano crescendo per le corporation e per le rendite, però il Paese aveva una disoccupazione strutturale enorme, soprattutto nella classe intellettuale, e tassi di analfabetismo tra i più alti al mondo. Insomma un’economia che non andava affatto bene. E’ lo stesso che sta avvenendo anche in Cina, dove abbiamo il Pil che aumenta, ma il Paese è sull’orlo di una crisi senza fine per il sottoconsumo, per la disoccupazione e per la mancanza di lavoro qualificato. I nostri economisti neoclassici dovrebbero tornare finalmente a leggersi la realtà.



Quali possono essere le ripercussioni in Italia di quanto sta avvenendo in Libia?

Quando sta capitando in questi giorni nel Nord Africa non è che l’anticipo di ciò che avverrà in Europa tra un decennio. L’Europa si sta riempiendo di disoccupati intellettuali senza speranze, cioè dei veri protagonisti delle rivolte di Libia, Egitto e Tunisia. Basta una scintilla, guardi che cosa hanno fatto di recente gli studenti inglesi e francesi. E se gli Stati europei sono più forti come istituzioni, la loro forza repressiva è inferiore, e quindi le rivolte avranno molte più possibilità di raggiungere i loro obiettivi.



Ma restando al Nord Africa, quale può essere la soluzione?

Sostituire la centralità dell’impresa capitalistica, che massimizza il profitto, con quella delle cooperative non profit, che massimizzano l’occupazione e i risultati di lunga durata.

 

Il non profit è possibile nel mondo islamico?

 

Certamente, anzi c’è già. La filantropia musulmana è una realtà ricchissima. Basti pensare che le banche islamiche non si fondano sul versamento degli interessi, e che quindi per certi versi l’Islam è molto più ben disposto ad accogliere le imprese che non si basano sulla massimizzazione del profitto, bensì sulla continuità dell’occupazione. Gran parte delle masse delle popolazioni di questi Paesi vive grazie alla filantropia, non dei ricchi ma di imprese islamiche non profit.

 

Ma queste realtà sono vicine all’estremismo religioso?

 

Si connotano in modo religioso, ma non per questo sono estremiste. Così come non lo sono le associazioni non profit cattoliche. E allora perché gli islamici devono per forza essere estremisti? Queste cose le diceva Mubarak per conservarsi al potere, e continua a dirle solo chi non conosce l’Islam. Nel Medio Oriente la maggior parte delle scuole coraniche, degli ospedali e delle opere pie di assistenza agli anziani sono non profit islamiche. Quello che per noi è eccezionale, nell’Islam è normale.

 

Qual è la forma di governo che può consentire a queste realtà di funzionare meglio?

 

La democrazia naturalmente. Regimi come quello di Gheddafi non consentono a queste associazioni di svilupparsi in un modo libero e pieno come vorrebbero. Sarà la democrazia a incrementare lo sviluppo di Paesi come Libia, Egitto e Tunisia. I rischi non mancano, ma se lasceremo che i mille Islam fioriscano, sarà uno sviluppo molto diverso da quello capitalistico occidentale.

 

Ritiene che nelle società di questi Paesi ci siano delle forze positive?

Ci sono molte forze positive, forse più che in Europa. Anche tra le comunità cristiane, pensi a quale forza e quale coraggio hanno minoranze religiose come i copti. Sono loro a costituire le elite intellettuali egiziane, e se si sviluppa un po’ di democrazia possono diventare uno dei cuori della nuova crescita economica, proprio come la minoranza parsi in India. I cristiani mediorientali infatti sono i più istruiti e mettono al centro del loro messaggio il rispetto della persona, e questo dà loro l’impulso per svolgere attività economiche e benefiche che in quei Paesi possono essere trainanti.

 

In Libia però la risposta del regime è stata molto più violenta che altrove…

 

Quello che sta avvenendo in Libia è il crollo di una società tribale dove per 50 anni una tribù, la Qadhadfa di Gheddafi, ha dominato sulle altre. E’ la caduta di uno Stato molto diverso da quello dell’Egitto o della Tunisia. La Libia non ha un esercito, ma solo delle milizie, e anche quelle poche truppe regolari che c’erano erano molto divise. Mentre l’aviazione, arma fondamentale già per sgominare la rivolta militare sotto Gheddafi, apparteneva alla tribù Qadhadfa. In Libia non c’è né una monarchia né un esercito che unifichi un Paese che non ha una cultura nazionale, in quanto le tribù sono delle entità parastatuali. Il rischio che il Paese si divida non è quindi da escludersi.

 

C’è anche il pericolo di un’ondata migratoria di lunga durata verso l’Italia?

 

Da questo punto di vista, non bisogna fasciarsi troppo la testa. I fenomeni migratori si reggono sulle informazioni che i migranti ricevono da coloro che sono partiti prima di loro. Se l’Europa non può fornire loro accoglienza e lavoro, i migranti si trasmettono queste informazioni molto rapidamente e i flussi rallentano. Non mi pare che in Italia ci sia lavoro, al contrario c’è una disoccupazione intellettuale terribile e anche i lavori un tempo affidati agli immigrati oggi sono scarsi. Quindi non è detto che gli sbarchi saranno un fenomeno di lunga durata, perché l’Europa è in crisi e chi vive nel Nord Africa lo sa benissimo.

 

(Pietro Vernizzi)

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