«Se la Libia apre i “cancelli”, sono potenzialmente pronti a riversarsi in Italia e nel resto d’Europa 200 milioni di immigrati dall’Africa sub-sahariana nei prossimi 20 anni. Nel nostro Paese ci sono già 5 milioni di extracomunitari, assorbirne anche solo altri 500mila l’anno è impensabile». Ad affermarlo è Gian Carlo Blangiardo, esperto di migrazioni internazionali dell’Università Bicocca, intervistato da ilsussidiario.net. Un’analisi che giunge nel giorno in cui sono state diffuse le immagini delle fosse comuni sulle spiagge di Tripoli, a conferma della gravità del conflitto in Libia, mentre l’Ue ha deciso di stanziare un fondo speciale per sostenere i Paesi che accoglieranno i rifugiati.
Professor Blangiardo, quali conseguenze può avere quanto sta accadendo in Libia sui flussi migratori?
I libici sono sei milioni di persone, ma il vero problema sono i Paesi che stanno alle spalle della Libia. L’Africa sub-sahariana è un grande serbatoio di potenziali emigranti, e in qualche modo veniva arginata dal regime di Gheddafi. Il vero rischio è che l’argine sia caduto. Togliendo il tappo a Paesi che, da un punto di vista demografico, per assorbire la disoccupazione giovanile dovrebbero creare oltre 10 milioni di posti di lavoro l’anno. Si tratta di una massa enorme di giovani individui che in qualche modo possono subire la tentazione dell’emigrazione. Questo però succede ogni anno, e ci vorranno ancora 20 anni prima che gli effetti del calo demografico si possa far sentire anche in Paesi come Nigeria, Mali, Congo, Senegal e Mauritania.
La disoccupazione in Europa può costituire un disincentivo per i nuovi sbarchi?
No. Per noi uno che guadagna 800 euro al mese vive sotto la soglia di povertà, per un cittadino dell’Africa sub-sahariana è una persona che, se non è proprio benestante, comunque ha fatto dei notevoli passi avanti. Quindi i candidati all’emigrazione sono tanti e la tentazione forte. I Paesi europei non sono in grado di assorbire numeri così elevati. L’Italia ha compiuto uno sforzo non indifferente per arrivare senza problemi ad avere cinque milioni di immigrati, ma non può continuare per altri 20 anni ad assorbire ogni anno 500mila extracomunitari.
In Italia si arriverà a un punto di saturazione, raggiunto il quale gli sbarchi cesseranno da sé?
No. Nei Paesi africani ci sono condizioni di vita che spingono le persone ad andarsene. E quindi la vera causa dei flussi migratori non è la capacità attrattiva dei Paesi europei, bensì la situazione economica dell’Africa. Appena le leggi dell’Occidente aprono qualche spiraglio ai nuovi arrivi, i barconi continuano a partire. Se l’Italia in questo momento dichiarasse che è pronta ad accettare 800mila immigrati ogni anno, questi partirebbero subito, anche perché con il tam tam mediatico oggi lo verrebbero a sapere in tempo reale.
Quali sono i rischi legati ai nuovi flussi?
Il rischio è che si crei una guerra tra poveri, cioè la competizione tra gli stessi immigrati e le fasce più deboli della popolazione italiana. Già oggi lo vediamo: la competizione per la casa popolare ne è un esempio. E presto potremmo vedere la competizione tra immigrati per quei lavori di basso profilo, che però tutto sommato consentono loro di portare a casa quegli 800-1000 euro al mese.
Ma nella lotta all’immigrazione clandestina Gheddafi era un partner affidabile?
Gheddafi ha ovviamente tutti i limiti legati al suo personaggio. E quindi è inaffidabile, nel senso che ha i suoi disegni e mira a quelli. Ma per i Paesi europei è stato comunque un alleato nel fronteggiare la situazione, la sua presenza in Libia ha scoraggiato i flussi che arrivavano dall’Africa sub sahariana. L’indebolimento di un alleato, scomodo e antipatico quanto vogliamo, può essere il vero problema da gestire per tentare di costruire dei nuovi equilibri. Se l’Europa si impegna oggi per lo sviluppo dell’Africa sub-sahariana, passeranno decenni prima che se ne sentano gli effetti. Quindi comunque un segnale di fermezza, piaccia o no, deve passare. Altrimenti decine di milioni di persone potenzialmente si lasceranno prendere dal tentativo di raggiungere l’Europa, con l’illusione di migliorare la loro esistenza, anche se sappiamo che poi spesso non ci riescono. Quello cui assistiamo nella maggior parte dei casi è infatti un fallimento del progetto migratorio.
Ma un innalzamento del tenore di vita in Africa sarebbe in grado di rallentarlo?
In realtà lo accelererebbe. Finché uno ha il problema della sopravvivenza quotidiana, non pensa di venire in Europa. Fare una migrazione vuol dire in qualche modo costruire un progetto, avere un’idea e un minimo di risorse per dare seguito all’idea. Chi si imbarca paga una somma per venire in Italia: fossero anche 1000 euro, per un povero disgraziato che viene dal Senegal sono comunque una fortuna. E infatti per partire è costretto a vendere i beni, chiedere dei prestiti, essere aiutato da tutta la famiglia che investe al completo sul processo migratorio.
L’Italia è più esposta ai flussi solo per motivi geografici?
L’Italia è più vicina all’Africa di Francia o Germania, e questo è un elemento che ci accomuna alla Spagna. La differenza è che in Spagna c’è Zapatero che, nonostante sia un uomo di sinistra, quando è il momento spara agli immigrati e nessuno trova da ridire più di tanto. Viceversa, se Maroni dovesse fare una cosa del genere, giustamente si scatenerebbe il finimondo. Peccato che non avvenga lo stesso anche nei confronti del governo socialista di Madrid. L’Italia è sempre oggetto di forti attenzioni da parte degli organismi internazionali e dell’opinione pubblica, e quindi deve governare i flussi in modo morbido, democratico e rispettoso. Lo abbiamo visto nei rapporti con Gheddafi: noi eravamo sempre quelli cattivi, che facevano gli accordi con i dittatori. Ma poi non si usa lo stesso metro di giudizio con tutti i Paesi europei.
La democrazia in Africa può aiutare a risolvere il problema dell’immigrazione?
Sicuramente aiuterebbe avere a che fare con governi africani retti da persone ragionevoli, che non siano il Gheddafi di turno, con cui sia possibile parlare dei problemi comuni e affrontarli insieme. Quello che occorre sono degli accordi bilaterali per la formazione. Concordando degli scambi, grazie a cui i giovani africani vengono in Italia, guadagnano qualcosa, imparano un mestiere e poi tornano nel loro Paese. Con quello che hanno guadagnato, aprono un’impresa in Mali e così si risolve il problema della disoccupazione. In realtà invece nella maggior parte dei casi gli immigrati, una volta giunti in Italia, vi si insediano e vi restano stabilmente, tornando nel loro Paese d’origine solo per far vedere che hanno comprato la Mercedes.
(Pietro Vernizzi)