Nel sudest brasiliano una grande area di montagne e colline si estende lungo la costa, coperta dalla foresta tropicale, dove la pioggia è continua. Le sue coline e valli contendono lo spazio ad alcune delle grande città brasiliane, come Rio de Janeiro e São Paulo. È in questo  paesaggio che si stima circa 1.000 persone siano morte per gli smottamenti del terreno causati dalla pioggia delle ultime settimane.
Una tragedia conosciuta, annunciata, visto che si ripete ogni anno, con le forti  piogge estive, uccidendo da decine a centinaia di persone. Una tragedia causata dalla occupazione abusiva delle aree con rischio di smottamenti nelle pendici delle coline, fatta principalmente dai poveri. Le dimensione del problema sono immense. Il governo brasiliano stima che ci siano 5 milioni di persone che abitano queste aree a rischio.



I disastri causati da fenomeni naturali sono quelli che stanno maggiormente crescendo nel mondo. In America Latina  si stima che circa 14 milioni di persone perderanno la loro casa o le loro terre a causa di  catastrofi naturali. I cambiamenti climatici, creati o no dall’uomo, hanno un ruolo importante in queste stime, ma i numerosi terremoti mostrano che la crescita della densità della popolazione unita alla mancanza di infrastrutture di prevenzione e protezione  sono la principale causa del problema. Per questo le Nazione Unite hanno creato un programma speciale per ridurre l’impatto di tali disastri naturali in tutto il mondo. Nel 2005, nella Conferenza di Hyogo, i vari Paesi, tra cui il Brasile, si sono impegnati a mettere in atto una serie di azioni in questo senso. Dopo la tragedia del Gennaio 2011, però, il governo brasiliano ha riconosciuto che le iniziative decise in quella Conferenza non sono state realizzate.



Questi dati sollevano molte domande. In un momento nel quale il paese è elogiato per la sua crescita economica e per il progresso nella lotta alle disuguaglianze sociali, perché non sono state prese le attività concordate per proteggere la popolazione contro le catastrofi naturali? Cosa si può fare per ridurre o eliminare queste morti e perdite economiche? Qual è la responsabilità dello Stato, della società organizzata e delle persone stesse nel superamento del problema?

La parte del governo…
Nel mondo, la dimensione delle perdite dovute alle catastrofi naturali è proporzionale ai problemi di corruzione e inefficienza dei governi: più corrotto e inefficiente è un governo, più gravi le perdite inflitte alla sua popolazione. Ma il problema non è solo questo. In Brasile si aggiunge a  questo problema una cultura della non prevenzione, che porta a una crescita economica a detrimento dalla sicurezza delle persone e dell’ambiente. C’è una sorprendente relazione tra le perdite umane e materiali  in Brasile e la recente crisi finanziaria internazionale. In entrambi i casi l’osservatore troverà, alla radice delle perdite, la mancanza di cautela e di azioni preventive, già conosciute e riconosciute come necessarie, ma che sono state sacrificate in nome di un progresso e di una crescita economica che non considera rischi e incertezze insite nella realtà. La idolatria del successo a qualsiasi costo, la rivendicazione di autonomia e potere sulla vita e sulla natura che caratterizzano l’uomo moderno hanno molto a che fare con questi disastri.



Un semplice esempio ci aiuta a capire questa relazione. Mentre le azioni di prevenzione delle catastrofi naturali non venivano attuate in Brasile perché non considerate una priorità del governo, nel Congresso Nazionale si discuteva una proposta di cambiamento della legislazione ambientale che avrebbe reso più semplice costruire sulle pendici delle coline. Invece di evitare le aree a rischio, si cercava di facilitare la loro occupazione. Non si tratta di una questione ideologica, fra i politici di destra e quelli di sinistra, perché vi sono appoggi a questo cambiamento della legislazione da entrambe le parti.  Si tratta piuttosto di una questione culturale più ampia e profonda.

E la parte della società
Le misure preventive che possono e devono essere assunte sono basate principalmente su sistemi di previsione di eventi climatici catastrofici, identificazione delle aree di rischio , stato di allarme e spostamento delle popolazioni in queste aree in previsione di una emergenza. Sono misure necessarie, che possono ridurre notevolmente le perdite umane, ma che non risolvono il problema di fondo, che è la occupazione delle aree a rischio. Come risolvere il problema di questi 5 milioni di persone che vivono nelle aree a rischio del Paese? Apparentemente non ci sono risorse sufficienti per costruire case per tutti in luoghi sicuri e, d’altra parte, la esperienza dimostra che quando gli abitanti vengono spostati da queste aree di rischio, sono sostituiti da altri che le occupano nuovamente.
Siamo davanti a una situazione nella quale i programmi di lotta alla povertà basati esclusivamente sul reddito rendita mostrano i loro limiti. Le aree a rischio  vengono occupate  perché sono vicine alle infrastrutture urbane e ai luoghi di lavoro. L’incremento del reddito familiare non risolve questi problemi. L’evacuazione delle persone o la interdizione di queste aree non sono fattibili. Ancora una volta, l’ unica soluzione reale e definitiva è  lo sviluppo integrale delle popolazioni, che consideri non solo gli aspetti finanziari, ma tutti gli aspetti della vita.

In Brasile ci sono molte esperienze che si sono sviluppate con successo e che indicano la strada per soluzioni  più definitive di questi problemi. Le favelas su palafitte degli “Alagados”, in Salvador di Bahia, si trovavano in un’area esposta a inondazioni, con un alto livello di rischio per gli abitanti, ma in una buona posizione nella città, rendendo inutili, per questa ragione, tutti i tentativi di spostamento delle favelas. Negli anni ’90, un progetto di intervento condotto dalla ONG AVSI  ha affrontato il problema favorendo l’applicazione del principio di sussidiarietà, valorizzando le reti sociali, i rapporti e i legami tra le persone e le  forme di promozione già presenti nelle favelas. Non è stato quindi uno spostamento delle persone da una area a rischio, ma un processo comunitario di sviluppo personale e sociale, nel quale il cambiamento di localizzazione delle case è diventato possibile e desiderabile per gli stessi abitanti. Solo moltiplicando simili processi si potrà risolvere il problema delle occupazioni abusive in aree a rischio.

Ovviamente, i ricorsi sono un altro grande problema, ma non un ostacolo insuperabile. In São Paulo un’altra ONG, la Associazione dei Lavoratori Senza Terra, cominciò, negli stessi anni ’90, un processo di acquisizione di terreni per la costruzione di case sostenuto non dal governo ma dal risparmio degli stessi compratori. Erano persone povere ma che sono riuscite, attraverso la solidarietà e l’aiuto reciproco, a comprare i terreni e costruire le loro case. Attualmente sono più di 17.500 famiglie che hanno le loro case costruite in questo modo, con un investimento minimo dal governo.
Lo sviluppo integrale delle persone, realizzato traverso i principi della sussidiarietà e della solidarietà, è una forma più efficace per affrontare in modo reale anche i problemi derivanti dai disastri naturali del XXI secolo.

(Francisco Borba Ribeiro Neto)