Omar Suleiman, volto della fase attuale del regime egiziano, ha incontrato le parti mentre in piazza Tahrir i manifestanti non desistono e continuano a chiedere le dimissioni di Mubarak. Lavora dunque alla transizione, Suleiman, e la novità è che ora i Fratelli musulmani fanno parte del tavolo chiamato a lavorare sulle riforme. Prima tra tutte, come cambiare la Costituzione per permettere a nuove forze politiche di presentarsi alle elezioni. Oltre ad una serie di richieste ritenute inderogabili dal popolo dei manifestanti: la garanzia della libertà d’informazione e il rilascio degli oppositori.
La Farnesina, come tutti i governi occidentali, tiene gli occhi aperti, per adeguare la comprensione dello scenario al mutevole contesto non solo egiziano. «Mubarak rimarrà in carica sino alla scadenza del suo mandato e non oltre, non mi pare ci siano più dubbi su questo» dice al sussidiario Franco Frattini, ministro degli Esteri. L’Italia non appoggia nessun regime ma non può chiudere gli occhi di fronte alle esigenze della stabilità e al significato che ha avuto l’Egitto per l’intera area mediorientale. «Pesa l’indecisione dell’Europa – afferma il ministro -. Non ci si rende conto che il laicismo esasperato mina la credibilità dell’Unione».



Ministro, alcuni manifestanti egiziani hanno accusato l’Italia di essere stata tra quanti hanno appoggiato il regime di Mubarak. Che cosa risponde a questa affermazione?

Rispondo che l’Italia è profondamente amica del popolo egiziano, e che fra i due Paesi sussistono legami profondi, secolari, tradottisi in una fitta rete di relazioni molto robuste, strutturate a tutti i livelli di cooperazione economica, culturale, scientifica, sociale. Accrescere il volume dell’interscambio e degli investimenti diretti, realizzare assieme importanti progetti culturali, promuovere gli scambi giovanili, sviluppare le infrastrutture, non significa “appoggiare un regime”, significa, piuttosto, lavorare seriamente per il benessere ed il progresso dei due popoli.



Usare lo sviluppo per promuovere la pace, insomma.

Sì. E, in questo contesto, non intendo certamente tralasciare la dimensione della cooperazione politica: il ruolo decisivo ed autorevole dell’Egitto nel promuovere in questi anni il processo di pace, lo sforzo per superare le fasi di stallo, è stato riconosciuto a Mubarak non soltanto dall’Italia, ma dall’intero Occidente e dai Paesi arabi. Al di là della dimensione bilaterale italo-egiziana, tengo a ricordare che l’Egitto di Mubarak è stato un punto di riferimento fondamentale per tutto il fronte arabo moderato, così come la pace fra Israele ed Egitto è stata un perno essenziale per le dinamiche del processo di pace.



I rapporti positivi tra Italia ed Egitto sono il frutto delle posizioni dei governi in carica, o di ragioni economiche e strategiche che continueranno a sussistere anche con un cambio di regime?
 

Le rispondo a mia volta, se mi permette, con un’altra domanda: Lei ha forse memoria di un Governo italiano, di qualsiasi fase della nostra storia democratica e di qualsiasi colore politico, che non abbia compreso che l’Egitto è un attore regionale fondamentale, senza il quale è impensabile operare per la stabilità dell’area e lasciare viva la speranza della pace fra israeliani e palestinesi? Ancora: in una fase storica in cui lo spazio euromediterraneo non può permettersi di non sfruttare la sua centralità nelle rotte commerciali fra le potenze emergenti asiatiche e l’occidente, potremo mai prescindere dall’Egitto? Mi riferisco certamente al vitale rilievo strategico del Canale di Suez, ma sono anche convinto che l’economia egiziana, per quanto risenta pesantemente della crisi internazionale, presenta importanti potenzialità di sviluppo, come dimostrato dalla fiducia accordatale dai grandi gruppi industriali, anche italiani, che hanno scommesso sul futuro dell’Egitto con cospicui investimenti diretti.

Ritiene che, con un cambio di regime, possa diventare più difficile per l’Italia e per l’Ue intervenire in favore dei cristiani in Egitto?

Se, malauguratamente, prendesse corpo in Egitto una deriva islamista radicale, la componente copta della popolazione si troverebbe a rischio. Anche per questo motivo, l’Italia e l’Unione europea devono sostenere una transizione ordinata. In questa fase, però, al pari delle incognite sugli sviluppi in Egitto, pesa l’indecisione dell’Europa. Non ci si rende conto che il laicismo esasperato mina la credibilità dell’Unione. Non vi è una corale presa di coscienza sul fatto che le radici cristiane sono parte essenziale dell’ identità europea, e che la libertà di culto è la premessa per godere di tante altre libertà.

Fino a che punto in passato le richieste di Italia e Ue per la tutela dei cristiani in Egitto sono state ascoltate da Mubarak?

Mi lasci sgomberare il campo da un equivoco. Il tema non è la tutela dei cristiani in Egitto, il tema è la tutela dei cristiani nel mondo. Il popolo egiziano è vittima della violenza, è vittima dell’ attentato di Alessandria. Va assolutamente dato atto al Governo egiziano del suo convinto impegno nel combattere il fenomeno dell’intolleranza religiosa. Anzi, a dirla tutta, il popolo egiziano, di fronte all’eccidio di Alessandria, ha dato prova di maggiore sensibilità rispetto a qualche laicista europeo. Il punto è un altro. L’intolleranza nei confronti dei cristiani e delle minoranze religiose in generale ha assunto, su scala globale, dimensioni inaccettabili per tutti coloro i quali hanno a cuore i diritti dell’individuo. E di fronte a questo l’ Europa ha il dovere di essere più concreta ed incisiva.

Mubarak rifiuta di dimettersi perché teme il caos, ma sono stati i suoi sostenitori a usare metodi violenti. È quindi credibile quanto afferma Mubarak?
 

Mubarak rimarrà in carica sino alla scadenza del suo mandato e non oltre, non mi pare ci siano più dubbi su questo. L’importante è che la transizione sia pacifica, sia il più possibile rapida, e vada incontro alle richieste di democrazia e di apertura della società civile e delle opposizioni non violente e pronte al dialogo democratico. Noi non parteggiamo per questo o quel partito, né per questa o quella personalità. Quel che conta è che, avviando le necessarie riforme, vengano poste le basi per arrivare quanto prima ad elezioni democratiche che consentano al popolo egiziano di decidere liberamente sul suo futuro.

Che cosa possono fare in concreto l’Italia e l’Ue per una transizione pacifica in Egitto? Su che cosa è possibile fare leva per evitare derive da parte di uno o più dei soggetti coinvolti?

Trovo molto positivo che al Consiglio europeo sia stato preso l’impegno di “una nuova partnership” dell’Unione con Egitto e Tunisia, da perseguire attraverso tutti gli strumenti offerti dalla Politica Europea di Vicinato ed anche attraverso il rilancio dell’ Unione per il Mediterraneo. Ora, però, questo impegno va riempito di contenuti concreti. Occorre varare un pacchetto di misure efficaci che, nel breve termine, incoraggino il consolidamento dei processi democratici e favoriscano la preparazione di elezioni libere e trasparenti, e, in prospettiva, rivitalizzino la crescita economica e sociale in tutta la sponda Sud del Mediterraneo. Non dimentichiamo che all’ origine dell’ondata di proteste vi è un disagio giovanile di vaste proporzioni. Quei ragazzi stanno bussando alla nostra porta invocando democrazia e progresso. Sarebbe da irresponsabili indurli a rivolgere lo sguardo altrove o, peggio, farne facili prede degli estremismi.

(Pietro Vernizzi)
 

Leggi anche

EGITTO/ Tewfik Aclimandos: e se l'esercito avesse fatto un "patto" con l'Arabia Saudita?EGITTO/ Herzog: un colpo di Stato che "piace" a Israele, ecco perchéCRISTIANI UCCISI/ L'esperto: "Il regime militare ha fatto un colpo di Stato"