Saki Ito, impiegata presso la Japan International Cooperation Agency di Tokyo, ha scritto in esclusiva per IlSussidiario.net il racconto dei primi terribili atti dopo che il terremoto ha devastato il suo Paese e della situazione attuale.
“Venerdì 11 marzo 2011. Un terremoto gigantesco colpisce la regione nord est del Giappone. Fino alle 14.46, era solo un altro venerdì come tanti al lavoro, in attesa di incontrare gli amici per una cena serale, andare a fare un po’ di shopping e rilassarsi. Poi è arrivato il terremoto, ovviamente senza alcun preavviso. Inizialmente pensavo si trattasse di un terremoto minore – se vivi in Giappone, vivi con i terremoti – ma non è stato così. La gente nel mio ufficio, me compresa, cominciò a capire che non si fermava e diventava anzi sempre più forte. Tutti ci siamo nascosti sotto ai tavoli una pratica che ci è stata insegnata sin da quando eravamo bambini. E’ stato il più lungo e il più forte terremoto che abbia mai vissuto nella mia vita. Tutti in ufficio però erano sani e salvi e il palazzo dove ci trovavamo non aveva subito danni particolari. Parlando sinceramente, non lo presi neanche troppo seriamente. Ma poi la tragedia ha cominciato a dispiegarsi in televisione. Abbiamo cominciato a vedere i servizi sullo tsunami che distruggeva le case nella città di Sendai e non potevo credere a quello che vedevo: case spazzate via macchine che cercavano di allontanarsi ma venivano inghiottite dalla mostruosa onda nera. Ero sconvolta.
“A Tokyo, mentre si continuavano a sentire scosse di assestamento, la gente che aveva amici o parenti nelle zone colpite dallo tsunami cercava di chiamarle al telefoni, ma ogni linea telefonica era interrotta. Gli sms impiegavano ore prima di arrivare a destinazione. Al lavoro ci dissero che chi voleva, poteva andare a casa. I treni in partenza da Tokyo erano però stati bloccati, così in molti di noi non potevamo andare a casa. Ogni giorno impiego circa un’ora di treno per arrivare al lavoro così rinunciai all’idea di andare a casa a piedi (con l’iPhone venni a sapere che ci avrei impiegato almeno sette ore). Allora decisi di avventurarmi nella fredda serata e camminare per un’ora e mezza fino a casa di mio nonno per passarvi la notte. Le strade erano piene di gente e di automobili ma nessuno suonava i clacson, c’era un silenzio surreale.
“C’era addirittura una persona all’angolo che teneva un cartello con sopra scritto: “Per la stazione di Shinjuku, 25 minuti a piedi, da questa parte”. Quella sera sentii molte storie commoventi: sconosciuti che procuravano cibo e bevande calde ai passanti, chi offriva un passaggio in macchina verso casa, chi apriva gli uffici per permettere alla gente di passarvi la notte. Il mattino dopo, arrivata finalmente a casa, accesi la televisione. Solo allora mi resi conto della devastazione reale che lo tsunami aveva provocato. In quella zona del Giappone, ci sono molte cittadine isolate sulla costa, e quasi tutte erano state colpite dall’onda, un’onda che nessuno aveva capito fosse così vasta e violenta.
“Al momento, nessuno sa ancora quante persone siano realmente morte per via dello tsunami. Oltre alla tristezza e al dolore, quello che ci preoccupa in questi giorni è l’ansia di sapere cosa stia esattamente accadendo all’impianto nucleare di Fukushima. La gente comune come me non ha nessuna idea di come funzioni esattamente un impianto nucleare o di come sia realmente la situazione. Il governo sta molto attento a dare notizie su questo argomento. Così che noi possiamo solo fare delle speculazioni, essere spaventati e chiederci: “I politici ci stanno dicendo la verità? Potremmo davvero essere esposti a radiazioni mortali?”.
“Adesso cominciano a giungere informazioni più approfondite e chiare, ed è proprio quello di cui abbiamo bisogno. Oggi, lunedì, il cuore delle notizie è incentrato su un black out previsto per risparmiare energia elettrica. In realtà, questo black out si è tenuto per solo un paio di ore in alcuni quartieri di Tokyo, dato che quasi ogni persona in Giappone si sta impegnando a risparmiare energia elettrica. In ogni caso, diversi treni sono rimasti fermi e non sono stata l’unica persona che non si è potuta recare al lavoro. Tutti noi sappiamo che non potremo vivere in questo modo. Ecco qual è la situazione, dal punto di vista di un cittadino comune. Io sono molto lontana dalle zone colpite più duramente posso solo guardare i servizi televisivi e immaginare cosa voglia dire quella realtà. Al momento, mentre il conto dei morti continua a salire, mi sento di ringraziare le squadre straniere di salvataggio che si stanno impegnando per portare soccorsi nelle zone più isolate, ma aiuto, supporto e preghiera sono cose di cui quelle persone hanno altrettanto bisogno. I notiziari dicono che c’è una grande scarsità di cibo, acqua e coperte. Ma quando si chiede loro di che cosa hanno veramente bisogno, la risposta è: “Informazioni sui parenti dispersi”.
“Mi sento impotente. Sebbene abbia subito lo stesso terremoto, non c’è nulla che io possa fare per aiutarli, come chiunque altro nel paese. Allora, prego sperando che la mia preghiera venga in qualche modo ascoltata”.
(Saki Ito)