Il disastroso terremoto che ha devastato il Giappone l’11 marzo ha dominato i notiziari degli scorsi giorni, accantonando anche ciò che sta accadendo in Medio Oriente. La maggior parte degli articoli e dei video si è concentrata sulle vittime, sui danni fisici ed economici provocati dal terremoto e sull’ampiezza dell’area colpita dal terremoto e dallo tsunami.
L’unico articolo che mi ricordi abbia trattato sui grandi media quella che possiamo chiamare la dimensione culturale o spirituale della tragedia è apparso sul blog di Cnn il 12 marzo, a firma Marnie Hunter.
Nell’articolo si fa notare, come avevo notato anch’io, la differente reazione dei giapponesi di fronte a questa tragedia paragonata ad altre simili catastrofi, come ad Haiti, in Cile o anche in Italia non così tanto tempo fa. La Hunter sottolinea la mancanza di bande di saccheggiatori e di segni di sciacallaggio o di risse, neppure per procurarsi il cibo.
Per capire questa situazione, si è rivolta a due autorità in materia di Giappone e della sua cultura. Uno è Gregory Pflugfelder, Direttore del Centro Donald Keene di cultura giapponese presso la Columbia University, secondo il quale il saccheggio semplicemente non c’è in Giappone. La ragione, dice è “il sentimento di essere in primo luogo e soprattutto responsabili per la comunità”.
La seconda autorità citata nell’articolo è Merry White, professoressa di antropologia all’Università di Boston e studiosa di cultura giapponese. Il vero problema, afferma, non è che non ci sono saccheggi in Giappone, ma che ce ne sono in America. La ragione dei saccheggi in America è “l’alienazione sociale e la differenza tra le classi”. Tuttavia, “anche in Giappone vi è qualche alienazione sociale e differenza tra classi”, ma, secondo lei, “la violenza e l’appropriarsi di ciò che appartiene ad altri non sono approvate, né sostenute culturalmente.”
Non sono certo della validità di questa osservazione, perché non penso che si possa dire che violenza e furto godano di approvazione sociale negli Stati Uniti, e tuttavia accadono. Perciò, il fatto che ciò non succeda invece in Giappone non può essere interamente dovuto alla disapprovazione sociale.
Il Dottor Pflungfelder si trovava alla National Diet Library (Biblioteca nazionale del Parlamento) a Tokyo quando il terremoto ha colpito e, con sua grande sorpresa, la biblioteca è rimasta aperta un’ora e mezza oltre il suo normale orario. Attraverso questo ha capito la gravità di ciò che stava accadendo! Attorno a mezzanotte la metropolitana è stata riaperta e si è formata un fila ordinata di persone per salire sui treni, invece che una folla che cercava di uscirne.
Il Dottor Pflungfelder dice che “l’ordine e la disciplina sociale sono così inculcate in tempi normali che penso sia molto facile per i giapponesi continuare a comportarsi come sono abituati normalmente, anche in situazioni di emergenza.” Invece, attribuisce il comportamento degli americani al sistema economico capitalista, perché si tratta di un sistema in cui ciascuno protegge il suo interesse personale, e da questo deriva comunque un certo ordine.
Questa osservazione mi pone qualche problema sulla base della mia personale esperienza dei comportamenti dopo l’attacco dell’11 settembre. Almeno qui a New York si è verificato l’opposto, con la solidarietà verso gli altri e la volontà di aiutarli fino a punte di eroismo.
Voglio anche aggiungere che all’epoca del terremoto ad Haiti, i giornalisti notarono che chi era stato colpito, perdendo tutto e con probabilità minime di avere un alloggio o un rifugio per molto tempo, si rivolgeva alla religione per trovare conforto e perfino gioia in mezzo a un tale disastro. Si ricordi la cattedrale di Port au Prince crollata sui fedeli, compreso l’arcivescovo che lì morì. Ciò nonostante, la gente continuava a vedere Dio accanto a sé e la domanda “perché tutto ciò è successo?” non è mai stata posta.
Credo che la ragione di tutto questo sia la conferma cristiana della cultura religiosa haitiana, dove il mistero è riconosciuto nelle cose di questa vita, nello spazio e nel tempo, come parte dell’esperienza della nostra umanità. La dottrina dell’Incarnazione implica che l’uomo e Cristo condividano lo stesso destino. Per questo, Dio non è sottoposto a quella domanda quando accadono simili disastri, perché chi crede in Cristo sperimenta che Dio è al fianco degli uomini.
Nella cultura religiosa del Giappone, il mistero è cercato lontano da questa vita, dalla carne, dallo spazio e dal tempo. Perciò la realtà non è vista come amica. Quando arriva un evento disastroso, ciò che diventa importante è fronteggiare con coraggio la tragedia, perché non ci si aspetta che la realtà sia amichevole.
Per me, comunque, si è mostrata ancora una volta la forza umanizzante del cristianesimo in confronto al senso religioso, che si deve rassegnare a non poter mai trovare da solo il mistero che afferma il valore della vita umana.