«Sono certo che il Giappone riuscirà a risollevarsi dalle macerie. La Caritas, la principale Ong attiva nel Paese, si sta facendo in quattro per soccorrere le persone rimaste senza casa, lavoro, cibo e acqua. Ma la maggior parte dei giapponesi oggi non crede più in Dio, e questo rende la loro tragedia ancora più terribile». Ad affermarlo è monsignor Tarcisio Isao Kikuchi, presidente della Caritas giapponese e vescovo di Niigata, raggiunto al telefono da ilsussidiario.net mentre si trova a Sendai, capoluogo della provincia più colpita dal terremoto.
Monsignor Kikuchi, com’è la situazione a Sendai in queste ore?
La situazione a Sendai è molto dura, non riusciamo ancora a renderci conto di quello che è successo. La Caritas e la Chiesa cattolica in Giappone stanno facendo del loro meglio per aiutare le persone colpite dal terremoto.
Quante persone in città sono rimaste senza casa?
Circa 400mila persone, su un milione di abitanti, sono state costrette ad abbandonare le loro case, perché sono pericolanti o crollate del tutto.
È questo il problema più grave?
Sì, ma ce ne sono altri di non poco conto. Tra questi la scarsità di carburante, in quanto i distributori hanno esaurito la benzina, e le difficoltà a riattivare i trasporti pubblici. Inoltre, gli sfollati hanno bisogno di cibo, e in alcuni quartieri non ci sono più riserve d’acqua e di gas. L’elettricità è tornata nella maggior parte delle case, ma molti uffici continuano a rimanere chiusi.
I soccorsi stanno funzionando?
Sì, ci sono diversi gruppi di soccorritori provenienti da tutte le province del Giappone, oltre a diverse altre squadre giunte dall’estero. Anche l’Esercito statunitense sta lavorando in città in modo efficace per aiutare le vittime del terremoto.
Ha parlato con le persone dell’area colpita dallo tsunami?
No, è troppo difficile raggiungere quelle zone, non è facile spostarsi in auto in questo momento. Il vescovo di Sendai, Martin Hiraga, ha parlato al telefono con alcuni di loro, ma in alcune aree remote le comunicazioni continuano a non funzionare. Qui a Sendai la linea telefonica è stata riattivata in modo stabile solo martedì.
Il Giappone riuscirà a risollevarsi dalle macerie?
Sono convinto di sì. Da quello che avete visto dai telegiornali sembrerebbe che l’intero Paese sia stato distrutto, ma in realtà non è così. Alcune parti sono rimaste colpite, ma la maggioranza delle persone, forse il 90%, sta continuando a condurre la stessa vita di prima e l’economia non smette di crescere. Per questo sono convinto che il Giappone riuscirà a riprendersi.
Perché in Giappone, a differenza per esempio di Haiti, non abbiamo assistito a disordini?
Se guarda alla storia giapponese recente, a differenza di altri Paesi dell’Asia, non si sono mai verificati disordini o dimostrazioni contro il governo. Questo tipo di tensioni è semplicemente scomparso dalla cultura giapponese, perché la nostra società è molto solida e il governo provvede affinché tutte le persone siano soddisfatte. Ed è questa la vera causa di quanto sta avvenendo ora, dopo un disastro naturale di queste proporzioni, con i cittadini che restano calmi e in attesa dei soccorsi.
Il popolo giapponese dove troverà le forze spirituali per rispondere al terremoto?
È una domanda molto difficile, francamente non ne ho idea. La maggior parte delle persone non crede in Dio e non appartiene a nessuna religione. Lo stesso Scintoismo non ha più grande seguito in Giappone. Noi cristiani continuiamo a credere e le nostre energie ci vengono dalla fede. Ma non so che cosa possa aiutare la maggior parte delle persone in questa difficile situazione.
Che cosa può fare la Chiesa cattolica giapponese per aiutare la popolazione?
La Chiesa sta predisponendo un centro per aiutare le persone colpite dal terremoto. Il vescovo Hiraga e la Caritas giapponese stanno lavorando insieme per organizzare i volontari e le altre attività di soccorso.
La Chiesa cattolica può aiutare la popolazione a ritrovare una speranza?
Sì, in Giappone siamo una minoranza molto piccola, ma la Caritas è la Ong più grande attiva nel Paese: penso quindi che possiamo fare qualcosa per dare una speranza alle persone. Innanzitutto, grazie al fatto che noi per primi non abbiamo perso la speranza e la fiducia in Dio.
La vostra quindi è anche una testimonianza a tutto il Paese?
Sì, pur con alcuni limiti oggettivi. Nelle attività della Caritas non possiamo menzionare la parola Dio, specialmente in questo Paese. Il governo infatti ha deciso di non collaborare con i gruppi religiosi per le attività di sostegno alla popolazione, e quindi non possiamo dire che di appartenere alla Chiesa.
Perché non potete dire che appartenete alla Chiesa?
Dipende dalla mentalità generale che c’è in Giappone, e che è molto peggiorata da quando, nel 1995, la setta buddista Aum Shinrikyo ha compiuto un attentato in metropolitana uccidendo numerose persone con le esalazioni di gas. Da allora tra la maggioranza dei giapponesi c’è un sentimento sospettoso e contrario alla religione. È molto difficile dire alle persone che la Caritas è un gruppo religioso. Anche perché lo stesso atteggiamento è condiviso dal governo nazionale e da quello locale, che sono animati da un forte sentimento contro le attività religiose. Non ci sono leggi che ci vietano di parlare del Cristianesimo e in Giappone esiste libertà di religione, ma dopo la seconda guerra mondiale la Costituzione è stata emendata vietando al governo di collaborare con associazioni legate alle fedi. Questo è il motivo per cui la Caritas non può esporsi troppo nell’esprimere la sua natura religiosa. Questo, però, non toglie che quando ci rapportiamo con le singole persone, emerge quello che siamo veramente, anche perché attraverso le nostre attività loro si rendano conto che non potremmo fare quello che facciamo se non fossimo cristiani.
(Pietro Vernizzi)