Odissey dawn, Odissea all’alba. I nomi sono sempre simboli potenti, evocativi. Come si chiama questa guerra? Il nome ufficiale dell’operazione militare dei cosiddetti “Volenterosi” è in inglese ed ha questo nome. Odissea, come il poema dell’antico greco Omero, che raccontava il viaggio del ritorno a Itaca del suo re, Ulisse, dopo la vittoria a Troia ottenuta insieme agli altri re greci. Ma le vicende di Ulisse, benché siano ambientate nel Mediterraneo, fra l’attuale Turchia e le isole Ionie, non sono proprio quella che si dice una passeggiata di salute. Con Polifemo, Circe, le Sirene, Scilla e Cariddi e tutto il resto. Semmai il campo semantico che investe l’evocazione del poema omerico riguarda sicuramente un’avventura piena di insidie, e prolungata nel tempo. Oltre ogni ragionevole speranza. Mettersi in campo per un’Odissea è l’esatto contrario che mettersi in campo per una guerra-lampo. Fa pensare ad una strada lunga e tortuosa, dove si rischia di tornare a casa in pochi. Ci sono anche significati positivi, per carità: Ulisse è l’eroe dell’astuzia, esperto in umanità, capace di affrontare mille diverse insidie e sfidare forze a lui superiori.
E poi c’è il termine alba, una parola che evidentemente piace agli strateghi militari. Visto che anche nel 2001 in Afghanistan una delle prime operazioni militari dopo l’11 settembre fu chiamata: New Dawn, Nuova Alba. All’alba la luce viene da oriente e l’odissea all’alba fa pensare l’inizio di un faticoso viaggio di ritorno a casa, alle prime luci del mattino. E “gli inizi”, come dice il Midrash ebraico, “sono sempre difficili”. Fra l’altro, in Afghanistan le operazioni continuano.