“Nei giorni scorsi le preoccupanti notizie che giungevano dalla Libia hanno suscitato anche in me viva trepidazione e timori. Ne avevo fatto particolare preghiera al Signore durante la settimana degli Esercizi spirituali”. Durante l’Angelus di domenica mattina Benedetto XVI ha rivolto il suo pensiero a ciò che sta accadendo in Libia, rivolgendo un “pressante appello”: “Seguo ora gli ultimi eventi con grande apprensione, prego per coloro che sono coinvolti nella drammatica situazione di quel Paese e rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l’accesso ai soccorsi umanitari”.



Il numero dei fattori in gioco quando si cerca di analizzare una qualsivoglia crisi internazionale è talmente elevato da rendere rischiosamente improbabile ogni previsione ed ogni giudizio preventivo su una determinata azione e sulle conseguenze di essa. In nessun altro ambito della politica esiste una tale incertezza. Quello che accadrà in Libia dopo l’intervento militare di questi giorni è un enigma che non si può risolvere con incauti paragoni rispetto a guerre passate. La Libia non è l’Iraq, non è l’Afghanistan, non è il Kosovo, non è il Libano.



Si andava verso una strage. Questo è apparso ai più nella Comunità internazionale. Questo è un fatto che non poteva farci stare a guardare. La mobilitazione nei confronti di Gheddafi è in questo senso necessaria e giustamente condivisa da tutti. “Forse è meglio essere irresponsabili e giusti che responsabili e ingiusti” avrebbe detto Winston Churchill. Due paesi, Italia e Germania, nel sostenere l’operazione guidata da Francia e Gran Bretagna, hanno avanzato alcuni distinguo rispetto alla linea condivisa dall’iniziale maggioranza. Detto dell’inevitabilità e dell’urgenza di un intervento, che ha evidenti ragioni umanitarie, sono tutt’altro che irrilevanti gli argomenti alla base della decisione di non intervenire direttamente da parte del governo tedesco. Il ministro degli Esteri Frattini ha peraltro chiesto “un approccio più coordinato sotto la Nato, perché ha l’esperienza e la capacità, perchè qui operiamo nel teatro classico dove la Nato è localizzata, cioè nella regione europea-mediterranea e infine perchè la Nato ha buoni esempi di cooperazione con i paesi mediterranei non Nato, come Emirati e Qatar”. “Se ci fosse una moltiplicazione dei comandi, dovremo studiare un modo perché l’Italia assuma la responsabilità del controllo delle proprie basi”.



La posizione tedesca è stata espressa dal ministro degli Esteri Guido Westerwelle: “sono necessarie pressioni politiche, sanzioni finanziarie ed economiche mirate e non un intervento militare in quanto è difficile prevederne le conseguenze”. La questione fondamentale, secondo Roma e Berlino, riguarda il dopo Gheddafi: ci sono le condizioni per un miglioramento della situazione rispetto al periodo della dittatura? Chi sono e quali garanzie offrono gli interlocutori democratici che già da ora devono apparecchiare un nuovo sistema istituzionale? Sono domande alle quali bisogna rispondere con la stessa fretta con la quale la Francia si è presa il comando dell’operazione.

 

Il Mediterraneo in guerra è la peggior catastrofe che il Mondo possa attendersi oggi. Qualcosa che potrebbe stravolgere la vita di ciascuno di noi, che siamo il paese più vicino alle turbolenze. Siamo anche il paese che nutre i maggiori interessi nell’area. Con la Libia soprattutto.

In Libia non deve esserci una “guerra” e l’Italia intende verificare “la coerenza” dell’azione della coalizione internazionale con il pieno rispetto della risoluzione 1973 dell’Onu. È con questi paletti che il Ministro Frattini ha rivendicato ieri a Bruxelles che il comando delle operazioni militari in Libia passi presto sotto l’ombrello della Nato.

 

Senza troppi giri di parole, questa è la guerra di Nicolas Sarkozy. Il Presidente francese è fortemente convinto che sarà una guerra lampo. La seconda convinzione che ha spinto Sarkozy all’intervento è che gli garantirà la rielezione all’Eliseo. Speriamo che sia vero. Per il popolo libico, già profondamente colpito. Ma anche per noi: un conflitto prolungato è difficile da sostenere. In termini economici e di vite umane. Non si tratterebbe di un trionfo, ma sarebbe, intendiamoci, il minore dei mali. Il vuoto lasciato da Gheddafi sarà difficilissimo da colmare, anche considerando l’ovvia inadeguatezza degli attori che restano sullo scenario libico: lo Stato non esisterà più e l’Italia dovrà gestire probabilmente una parte del protettorato che nascerà dopo la guerra.