Quando sentiamo le sirene dall’ufficio di Haysod Street a Gerusalemme non sappiamo ancora cosa sia accaduto. Un via vai di ambulanze e macchine della polizia che non avevo mai visto in vita mia paralizza il traffico della città santa. La radio israeliana parla di un’esplosione di un pullman, causato da ordigno piazzato proprio alla fermata di un bus in piena città ebraica. Lo speaker non ne parla apertamente, ma sanno tutti che si tratta di un attentato terroristico. Si tratta solo di aspettare chi lo rivendicherà per primo.
Il bilancio è di un morto e di 31 feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. Il portavoce della croce rossa ci aveva assicurato, appena giunti sul posto, che nessuno era in pericolo di vita. Veniamo a sapere nel tardo pomeriggio che una donna sessantenne è invece morta in ospedale, a seguito delle ferite riportate. A Gerusalemme non si verificava un attentato da tre anni, quando un palestinese nella centralissima via Jaffa aveva attaccato un pullman, prima di essere ucciso. Oggi, con i tanti – troppi – che chiedono a gran voce la terza Intifada, questo nuovo attacco non farà certo dormire sonni tranquilli a Netanyahu.
L’ipotesi più avvalorata è da ricondursi a un atto di ritorsione per gli otto palestinesi uccisi dagli Israeliani nei giorni scorsi, due dei quali bambini. Una legge del taglione applicata a tempo zero. Ed è proprio la rapidità di questa “vendetta” che non promette nulla di buono. Il primo ministro ha cancellato il suo viaggio ufficiale in Russia, il livello di allerta è aumentato. Si teme una ripresa della tragica stagione degli attentati di qualche anno fa. Il nostro ministro degli Esteri ha già promesso di riprendere in mano la questione “Medioriente”. Ma a preoccupare di più, forse, sono i volti sorridenti e quasi divertiti dei passanti che osservano il pullman ancora fumare. Rassegnati, e abituati a queste eventualità, come quel tizio che – dopo aver scoperto che sono italiano – mi dice sorridente: “Siamo in Israele amico, questa è la vita!” Sarà, ma non sono convinto.