Siamo a Shama, quartiere generale del Settore Ovest di Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) che dall’agosto 2006 garantisce il rispetto della tregua stipulata tra Libano e Israele, dopo la breve ma cruenta “guerra di luglio”, scatenata da Israele a seguito del protrarsi di lancio di missili sull’Alta Galilea provenienti dal territorio libanese e dal rapimento di alcuni militari di Tsahal all’interno del territorio di Israele da parte i Hezbollah. Dal 9 novembre 2010 il contingente italiano è rappresentato dalla Brigata di Cavalleria Pozzuoli del Friuli e l’intero settore è sotto il comando del generale Guglielmo Luigi Miglietta.



Generale Miglietta, una delle critiche che viene rivolta alla missione Unifil è che in fondo, a cinque anni dalla stipula del cessate il fuoco, la sua funzione non sia più così essenziale. Cosa risponde?

Per rispondere, occorre innanzitutto chiarire quali sono gli obiettivi di questa missione e le fasi in cui si è articolata. Ricordo che prima del 2006 quest’area vedeva comunque la presenza di un contingente Onu – l’Unifil 1 – che contava circa 2.000 uomini. Era una classica forza di interposizione e osservazione con un mandato estremamente limitato. Nel 2006 ha preso avvio la missione Unifil 2, forte oggi di 15mila uomini, il cui mandato è prescritto dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Unu.



Con quali compiti?

Fin dalle origini del suo dispiegamento, prevedeva un’azione articolata in tre fasi ben distinte: la garanzia dell’effettività e della totalità del “cessate il fuoco”, il completamento del ritiro totale delle truppe israeliane dal territorio libanese, e il mandato a Unifil di accompagnare e agevolare l’ingresso nel territorio delle Forze Armate Libanesi (Laf) affinché acquisissero il controllo e la messa in sicurezza del territorio.È questa la fase nella quale siamo impegnati attualmente.

Ma qual è esattamente l’obiettivo finale della 1701, per la quale l’Unifil è schierata nel sud del Libano?



Quello di contribuire al ristabilimento della piena sovranità dello Stato in questa zona, che, non lo si dimentichi, dal 1976 al 2006 è sempre stata sottoposta al controllo delle fazioni armate o di potenze straniere. A termini della Risoluzione 1701, noi dovremo lasciare l’area a sud del Litani non appena le Laf avranno conseguito questo risultato, a giudizio delle stesse autorità libanesi.

 

Secondo la risoluzione 1701 Unifil è tenuta a garantire che nell’area – a parte le forze Unifil – solo le Laf possano detenere, portare e impiegare le armi. La stampa israeliana ritiene che Unifil finga di non vedere quello che succede sotto il proprio naso e che Hezbollah abbia ricostituito i propri arsenali e ricominciato a svolgere attività di addestramento. Cosa può dire in proposito?

 

In base ai limiti del mandato che abbiamo ricevuto, noi abbiamo il compito di assistere le Laf nel non consentire che nessuno porti o sposti armi nell’area posta sotto il nostro controllo. Qualora si riscontri evidenza della presenza d’armi noi siamo nella condizione di bloccare il veicolo, la persona o chicchessia: ma il sequestro delle armi ricade sotto la competenza delle Forze Armate Libanesi. Quando dovessimo supporre o qualcuno ci informasse della possibile presenza di armi in un luogo specifico, quello che ci è consentito fare è avvisare l’Armée libanese in modo che operi il sequestro.

 

E come risponde alle critiche?

 

Quello che molti ignorano o sottovalutano è che qui, diversamente da quanto è avvenuto per un certo lasso di tempo nei Balcani, agiamo sul territorio di uno Stato sovrano. Le dirò di più: noi agiamo per favorire il rafforzamento delle autorità sovrane libanesi in un’area in cui questa era rimasta per un lunghissimo tempo quasi una pretesa astratta. Sarebbe ben singolare (per non dire controproducente) che noi svolgessimo questo compito avocando alle nostre forze una funzione tipica della sovranità. Noi dobbiamo aiutare lo Stato, il solo intitolato al “monopolio della violenza legittima” a esercitare effettivamente questa sua azione sovrana, non dobbiamo sostituirlo.

 

Altrimenti non rappresentereste che una diversa forza straniera, sia pure multinazionale, presente sul territorio del Libano meridionale…

Certamente. Mi permetta di dire a tal proposito anche due parole sulla cooperazione civile-militare. Noi siamo estremamente impegnati nello sviluppo di infrastrutture e in progetti di sviluppo sociale. Questi vengono gestiti sempre in accordo con i sindaci e con le istituzioni in modo che l’outcome sia a favore della comunità intera e non di una singola collettività e che il nostro referente sia sempre e comunque un’autorità dello Stato libanese. Questi progetti sono parte integrante della nostra strategia anche nelle modalità con cui vengono eseguiti, e sono sempre diretti a rafforzare la sovranità delle autorità dello Stato e non questo o quel gruppo confessionale e politico.

 

Qualcuno dei suoi uomini si è mai trovato nelle condizioni di fermare individui che trasportavano o detenevano armi?

 

No, non abbiamo mai dovuto provvedere al sequestro di armi da guerra. Ovviamente, nella fase immediatamente successiva al ritiro delle truppe israeliane abbiamo provveduto a far sequestrare munizionamento di diversa specie in alcuni dei bunker disseminati sul territorio. Poi quotidianamente ci accade di fermare dei cacciatori – anche le armi da caccia sono armi – ed è nostro compito segnalarle all’esercito libanese. Ma è chiaro che si tratta di una situazione ben differente dal fermare un furgone pieno di armi da fuoco. Nel 2010 il contingente italiano, assieme al contingente multinazionale sotto la nostra responsabilità, ha effettuato 60mila attività operative su un’area di 25 per 30 km. E consideri, rispetto a quanto osservavo prima, che molte di queste attività sono state svolte insieme alle Laf. Se ci fossero armi pesanti, cannoni o carri armati per intenderci, o comunque depositi o trasporti di cospicui quantitativi di armi leggere in quest’area penso proprio che le avremmo rintracciate.

 

Quando c’è stato l’ultimo lancio di missili nei confronti di Israele?

 

Nel 2009.

 

A cosa imputa il fatto che dal 2009 non ci sono più lanci di razzi? Ad un maggior controllo del territorio da parte vostra?

Non direi così. Penso piuttosto che l’arresto dei lanci verso Israele sia dovuto alla maggiore e migliore collaborazione che abbiamo raggiunto con l’esercito libanese. Lungo la Blue Line (la demarcazione ancora incompleta e provvisoria dei confini tra Libano e Israele, nda) oggi lei trova per la maggior parte soldati libanesi, non le truppe dell’Unifil. Il nostro compito è infatti quello di permettere allo Stato di affermare la sua piena sovranità anche sul Libano del Sud. I sistemi d’arma impiegati per colpire l’Alta Galilea erano e sono molto rudimentali, anche se per questo non meno letali. La non possibilità di utilizzarli nel Libano meridionale significa, spesse volte, l’impossibilità tout court del loro impiego operativo. È poi c’è da dire una cosa importante: proprio grazie alla missione Unifil, le popolazioni del Libano meridionale stanno sperimentando il più lungo periodo di pace nella loro travagliata storia. Dal 2006 il Libano del Sud è forse la zona più sicura del Paese.

 

Come è strutturata la collaborazione?

 

Abbiamo cercato di trasferire alle forze armate libanesi la nostra expertise, organizzando seminari comuni per i nostri e i loro militari. In principio c’erano problemi di coordinazione legati alla differenza degli standard che utilizziamo noi e quelli che utilizzavano loro, ma nel tempo abbiamo fatto degli enormi progressi.

 

Può spiegare come lavorano concretamente i nostri soldati?

 

Innanzitutto le nostre donne e i nostri uomini cominciano l’addestramento per una singola missione sette mesi prima di partire, così da essere preparati al meglio per il teatro operativo. Consideri poi che i militari impegnati qui sono tutti già professionisti reduci da altre precedenti missioni. Per farle un esempio, i nostri soldati in una missione come questa non entrerebbero mai in una piazza pubblica con le armi caricate: lo fanno sempre con le armi a riposo. Ma tutti i miei uomini sanno perfettamente quando tenere l’arma a riposo e quando è il caso di intervenire. Una parte fondamentale dell’addestramento è consistito nell’imparare a relazionarsi con la popolazione civile. I nostri uomini hanno studiato gli usi e i costumi di quest’area; hanno fatto corsi di arabo, corsi sulla cultura locale, hanno seguito lezioni universitarie per comprendere la situazione geopolitica dell’area…

 

Si dice che questa attenzione alla realtà locale è forse uno dei tratti più caratteristici del modo in cui operano le nostre forze armate nelle missioni internazionali, è così?

Sì. un esempio banale: noi utilizziamo molto i cani antiesplosivo, ma mai uno dei miei uomini si permetterebbe di entrare in un mercato con un cane, che è considerato nell’Islam un animale impuro. Questo metodo è frutto di un addestramento specifico, ma è anche espressione della nostra cultura nazionale. Già nel nostro primo impegno in Libano nel 1982 ci muovevamo così. E il ricordo positivo dello stile di quella missione da parte delle popolazioni locali ci ha aiutato indubbiamente a ricevere una buona accoglienza nel 2006.

 

Recentemente sono tornati ad infiammarsi i toni tra Israele e l’Hezbollah. C’è stata la minaccia esplicita di una nuova invasione da parte dello Stato ebraico…

 

La risoluzione 1701 non prevede che Israele invada nuovamente il Libano. Noi siamo arrivati qui nel momento in cui le due parti avevano già cessato le ostilità, Israele aveva già manifestato l’intenzione di ritirarsi, e si accingeva al conseguente ridispiegamento delle proprie truppe. La nostra presenza sul suolo libanese è possibile fin tanto che le autorità libanesi ne faranno richiesta e il nostro ruolo di peace keepers dipende dal fatto che le parti continuino a manifestare apertamente la volontà di mantenere la tregua. Qualora le cose dovessero malauguratamente cambiare, ne dovrebbe eventualmente discendere una nuova Risoluzione con nuove regole di ingaggio adeguate al nuovo contesto operativo. Come potrebbe essere deciso dal Consiglio di Sicurezza il semplice ritiro di Unifil 2. Al momento sappiamo di poter utilizzare una quantità di forza adeguata alle minacce che dovessero essere messe in atto contro di noi, e comunque quella minima necessaria a difenderci da eventuali atti ostili di qualunque provenienza.

 

Lei cosa prevede, generale Miglietta?

 

Guardi, non è compito dei militari fare previsioni di carattere politico. Posso solo dirle che invece è responsabilità professionale dei militari predisporre e pianificare in modo da fare sì che nessuna situazione possa coglierli impreparati, così da essere sempre pronti a implementare qualunque decisione le autorità politiche nazionali dovessero adottare.

 

(Marina Calculli)