Secondo la televisione del Qatar Al Jazeera ieri sera Gehddafi avrebbe offerto le proprie dimissioni in cambio di adeguate garanzie. Dimissioni che sarebbero state rifiutate dagli insorti perché costituirebbero una via d’uscita onorevole per lui e sarebbero un insulto per le migliaia di vittime da lui stesso causate. La situazione libica è più confusa che mai.



Da una parte le truppe fedeli al colonnello continuano a bombardare le città occupate dai ribelli e soprattutto i pozzi petroliferi, dall’altra i ribelli stessi chiedono l’intervento militare degli eserciti occidentali e lanciano il grido d’allarme: Gheddafi è pronto a sommergere l’Europa di clandestini. Anche il figlio di Gheddafi ha parlato di una Libia che potrebbe diventare una nuova Somalia, in perenne guerra civile e con i pirati in giro per il Mediterraneo. Intanto la Nato che ieri aveva lanciato un ultimatum a Gheddafi suggerendo anche la possibilità di azioni militari (a cui il governo italiano aveva risposto con un deciso no) ha cominciato a muoversi: aerei militari Awacs sono già in volo sopra la Libia, stanno pattugliando i cieli 24 ore su 24 mentre il rappresentante americano alla Nato annuncia che le navi militari potrebbero presto essere riposizionate nel Mediterraneo in modo strategico.



A Washington si fanno sempre più numerose le voci che chiedono un intervento militare a fianco degli insorti. La posizione dell’Italia è stata espressa ieri dal ministro Maroni: “Se si interviene nel modo sbagliato, la Libia può trasformarsi nel nuovo Afghanistan, nelle mani dei terroristi. Tutto vogliamo tranne che questo. Prima di decidere di bombardare, prima che i guerrafondai prendano il sopravvento, occorre sviluppare una politica di aiuti”.

Piuttosto, dice, un piano Marshall di aiuto alla popolazione civile. Navi militari italiane sono intanto giunte in Libia, nel porto di Bengasi, trasportando aiuti per la popolazione civile. L’Unione Europea: il capo del diplomazia europea Ashton ha comunicato che tutti i paesi membri sono pronti a condividere l’ospitalità dei rifugiati. Tutti, tante Gran Bretagna e Danimarca.