Un processo di riconciliazione per la Costa d’Avorio come quello voluto da Nelson Mandela nel Sudafrica del dopo apartheid. Ad annunciarlo è Patrick Achi, portavoce cattolico del governo legittimo del musulmano Alassane Ouattara, nonché ministro per le Infrastrutture economiche. Nel giorno in cui i combattimenti in Abidjan tornano a farsi cruenti e l’ex presidente illegittimamente in carica recupera terreno, Achi rivela a Ilsussidiario.net di essere fiducioso nella vittoria. I generali e l’esercito hanno ormai abbandonato Laurent Gbagbo e con lui combattono solo i mercenari liberiani e i miliziani composti in larga parte da teenager.



Ministro Achi, com’è la situazione ad Abidjan in queste ore?

La situazione è molto difficile perché non c’è più la polizia, e quindi ci sono ovunque malviventi che compiono rapine e saccheggi. I negozi sono chiusi, è impossibile acquistare i generi di prima necessità e nessuno osa uscire di casa, perché le strade sono pericolosissime. I cittadini di Abidjan sono «profughi nelle loro case»: ci sono cinque milioni di persone al limite della crisi umanitaria. Non c’è più acqua, né elettricità, né cibo, le persone stanno morendo, non è possibile portarle in ospedale, non possono avere accesso ai servizi igienici o sanitari.



Dal punto di vista militare su quali forze può fare ancora affidamento Gbagbo?

I generali dell’esercito, la marina e l’aviazione lo hanno abbandonato. Con lui combattono però ancora i mercenari della Liberia, i giovani miliziani, ragazzi di 18-25 anni che non fanno parte dell’esercito, e i paramilitari. Gbagbo è barricato nel suo bunker, ma non vuole arrendersi.

Per quale motivo i negoziati di pace si sono interrotti?

Per ben quattro mesi tutte le principali istituzioni internazionali, tra cui l’Onu, l’Unione Africana e l’Ecowas (la comunità dei Paesi dell’Africa Occidentale, Ndr) hanno chiesto in modo pacifico a Gbagbo di dimettersi. Nel frattempo, lo sterminio di civili innocenti proseguiva con omicidi perpetrati nel modo più atroce. Anche in questa ultima fase, nella sola Abidjan sono assassinate tra 50 e 80 persone ogni giorno. E quanti mesi dovremmo passare ancora a trattare, mentre la nostra gente sta morendo?



Forse affidare i negoziati all’ambasciatore francese non è stata la scelta migliore…

Questa è stata l’ultima fase della trattativa, e con lui c’era anche un rappresentante dell’Onu. Ma già in precedenza, erano venuti ad Abidjan i capi di Stato dell’Africa occidentale: Gbagbo ha fatto loro delle promesse, ma non appena quelli hanno lasciato il Paese se ne è subito dimenticato. A tentare la mediazione è stata quindi l’Unione africana, rappresentata da un gruppo di cinque capi di Stato tra cui Jacob Zuma, presidente del Sudafrica e amico di Gbagbo. Al termine di una giornata di intensi colloqui, Gbagbo ha detto loro: «Io sono il presidente della Costa d’Avorio, su che cosa dovrei trattare?». Martedì quindi il rappresentante speciale dell’Alto Funzionario dell’Onu e l’ambasciatore francese hanno aperto delle trattative con Gbagbo. Al mattino ha detto di volersi arrendere e di volere un cessate il fuoco, e nel pomeriggio ha cambiato completamente idea. Non possiamo passare tutto il tempo a pensare al signor Gbagbo. Ora dobbiamo prenderci cura della popolazione ivoriana e preoccuparci della sua incolumità.

Che cosa è possibile fare per il Paese?

La cosa più urgente da fare, il più presto possibile, è riportare le forze dell’ordine nelle strade e nelle questure del Paese. In modo che le persone possano sentirsi sicure, uscire di casa, tornare alle loro occupazioni. Quando sarà stato risolto il problema della sicurezza, penseremo al milione di sfollati nel nostro Paese e agli oltre centomila sfollati nella Liberia.

In che cosa sono diversi i programmi politici di Gbagbo e di Ouattara?

Gbagbo ha già dimostrato qual è il suo modo di pensare: xenofobia, violenza e odio. Il programma di Ouattara invece si basa su riconciliazione, pace, ricostruzione del Paese, democrazia, buongoverno e rispetto dei diritti umani. Entrambe le forze in campo hanno fatto delle vittime.

Come è possibile la riconciliazione dopo le stragi di queste settimane?

E’ già stato possibile in altri Paesi del mondo e ci riuscirà anche la Costa d’Avorio. La riconciliazione implica il perdono di chiunque abbia subito un’ingiustizia. E questo è il motivo per cui Ouattara ha promesso di ristabilire un processo di pace e di riconciliazione esattamente come quello che è stato organizzato da Nelson Mandela nel Sudafrica del dopo apartheid. Le comunità si raduneranno, chiunque è stato vittima di un torto lo racconterà di fronte a tutti e insieme si cercherà un modo per riuscire a perdonare.

Perdonerete i sostenitori del vostro nemico numero uno?

Le persone che sono state coinvolte in abusi e omicidi, dovranno comparire di fronte al Tribunale penale internazionale, che rappresenta una garanzia di imparzialità. Quanti invece hanno sostenuto Gbagbo, ma non sono stati coinvolti in delitti contro i diritti umani, sono certo che riusciranno a comprendere la necessità di cambiare e il modo per farlo.

E Gbagbo?

Ouattara ha ordinato di lasciarlo in vita, perché vuole che compaia di fronte al tribunale: la sua rieducazione dovrà diventare un modello per il Paese. E’ solo infatti grazie a un processo giusto che è possibile conoscere la verità. Proprio perché vogliamo che la riconciliazione del Paese possa avvenire per davvero, noi non abbiamo nulla da guadagnare dall’uccidere Gbagbo.

Come valuta l’intervento dell’Onu in Costa d’Avorio?

L’intervento delle Nazioni Unite è stato provvidenziale, perché ha permesso di prevenire ed evitare un numero di morti ancora più grave. Il 7 aprile, nel giorno del 17esimo anniversario di uno dei più terribili genocidi della storia, il presidente del Rwanda, Paul Kagame, ha dichiarato: «Grazie a Dio l’Onu in Costa d’Avorio sta agendo rapidamente, perché è stato proprio per il suo mancato intervento che in Rwanda abbiamo avuto un milione di morti in 100 giorni».

C’è anche una componente religiosa nella guerra in Costa d’Avorio?

No. La Rhdp, cioè la coalizione che si oppone a Gbagbo, è composta da due partiti: quella del musulmano Ouattara e quella dell’ex presidente cristiano della Costa d’Avorio, Henri Konan Bédié. Inoltre in Costa d’Avorio in passato non ci sono mai stati problemi religiosi, e anche i matrimoni tra persone appartenenti a fedi differenti sono frequenti.

Quali altri problemi dovrete affrontare se riuscirete a sconfiggere Gbagbo?

I problemi legati alla carenza di cibo, alla mancanza di lavoro e alla povertà. Devono essere queste le priorità in un Paese in via di sviluppo, anche perché se sei in grado di creare lavoro e occupazione, tenendo impegnati i giovani, impedisci che si crei lo spazio per le ribellioni e per le guerre. Inoltre daremo moltissimo spazio alle associazioni non profit, perché crediamo che nei Paesi del Terzo mondo ci sia bisogno di sviluppare le capacità, di formare e di organizzare le persone, di insegnare loro a risolvere i loro problemi da soli. Proprio per questo, Ouattara ha assicurato che creerà le condizioni affinché le Ong di tutto il mondo possano venire a lavorare in Costa d’Avorio.

 

(Pietro Vernizzi)