Secondo la Commissiaria Cecilia Malmström la direttiva 55 del 2001 sulla protezione temporanea per i profughi dai paesi del Nord Africa “può essere utilizzata, ma non siamo ancora in una situazione tale da far scattare il meccanismo”. Un commento, quello della Commissaria, esternato ieri a margine della riunione del Consiglio dei ministri degli Affari interni dell’Unione europea, che di fatto non chiude le porte alla proposta italiana avanzata dal ministro Maroni, ma che non può nulla contro la decisione presa dagli stati membri di non rispondere positivamente all’appello italiano.
La maggioranza dei governi dell’Unione pensa che debbano essere la Tunisia e l’Italia a risolvere il problema all’origine. Silvio Berlusconi e Franco Frattini puntavano molto sull’estensione dell’articolo 5 della direttiva 55, sulla possibilità di concedere la protezione temporanea per un anno agli immigrati e dar loro per un anno lo status dei rifugiati. Non so se le divergenze in atto su un tema così delicato siano più o meno ricomponibili, certo è che il Governo italiano non può e non deve in alcun modo fermare le proprie legittime aspirazioni: l’Italia continuerà con forza a ribadire che il problema immigrazione va risolto politicamente in sede Ue.
Da più parti si cerca di ridurre la questione ad una diatriba prettamente italo-francese. E anche se nelle ultime settimane Parigi ha fatto di tutto per non risultarci simpatica, non è questo il cuore del problema. Come ha spiegato ieri il ministro Frattini, non c’è “un caso italo-francese, ma in tutto e per tutto un caso europeo. Altrimenti si rimette in discussione l’integrazione europea”. Pienamente in linea con quanto dichiarato da Frattini è la posizione del Presidente del gruppo Ppe, il francese Joseph Daul: “Ancora una volta, con i rifugiati che arrivano sulle coste del Sud dell’Italia, l’Europa è di fronte ad una situazione umanitaria drammatica, e alla necessità di gestire in modo degno e responsabile l’afflusso di immigrati clandestini. È evidente che solo una politica europea può essere all’altezza della sfida”.
Vorrei inoltre riflettere sulle parole utilizzate nei giorni scorsi da Silvio Berlusconi: “Se l’Europa non è concreta è meglio dividersi”. Un messaggio che può essere indirizzato sia alle istituzioni europee in quanto tali, sia agli stati membri, che non perdono mai l’occasione di riaffermare la supremazia dei propri interessi particolari a discapito delle dinamiche comunitarie. Se infatti il senso del nostro stare insieme viene puntualmente sconfessato, quale può essere la prospettiva? Come può spiegare la Commissione europea l’assoluta mancanza di coraggio nel prendere decisioni forti che impegnino seriamente tutti quanti nella salvaguardia di un destino comune? Quale alternativa al progetto chiamato Europa unita hanno in mente quegli stati membri che si lavano le mani rispetto a gravissimi problemi che riguardano altri?
Non è la prima volta che la Ue si trova ad affrontare una situazione simile, in quel caso di fronte alle decine di migliaia di cittadini dell’est in fuga dall’implosione dei regimi comunisti l’Europa scelse la strada della risposta politica e non dei cavilli burocratici o di un finto europeismo. Nella mia visione della politica è doveroso cercare di mettere insieme gli ideali con gli interessi. In una visione forse un po’ schematica e fanciullesca delle Istituzioni europee, io credo che le Istituzioni europee rappresentino i nostri ideali e che i nostri governi, per tante ragioni, rappresentino i nostri interessi. C’è una partita da giocare, quindi.
Ciò che mi colpisce è che mi sembra che in alcune circostanze i giocatori della partita degli ideali rinuncino a giocarla. Alcune settimane fa la signora Ashton, quando il Parlamento ha proposto che la Commissione proponesse al Consiglio di riconoscere il Consiglio provvisorio della Libia, ha detto che quello non era il suo mandato. La scorsa settimana in Parlamento il Commissario Malmström, quando avrebbe dovuto fare la proposta al Consiglio di una strategia che renda europea la crisi legata ai flussi migratori, ha detto che rinunciava, perché pensa che in Consiglio non ci sia la maggioranza.
Come fa la squadra degli ideali a vincere la partita se i nostri giocatori rinunciano a tirare in porta magari perché pensano che il portiere sia troppo bravo? Credo che sia questo un punto essenziale per comprendere storicamente il compito cui siamo chiamati. Mi permetto di fare questa osservazione: chi sono i giocatori dell’attacco? Sono le Istituzioni europee: il Parlamento, la Commissione e anche il Presidente Van Rompuy, perché credo che non rappresenti il Consiglio nel senso che ne difende gli interessi, ma che sia l’uomo che può far capire al Consiglio gli ideali sui cui puntare. Barroso, Van Rompuy, Sarkozy, Berlusconi, Merkel: la verità è che gli interessi di tutti saranno davvero difesi solo se prevarrà il metodo dell’unità e non quello della divisione.