Ancora notizie contrastanti dal reattore di Fukushima. Da una parte, l’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale del Giappone, che ha elevato il livello di gravità da 5 a 7, cioè al massimo della scala Ines (International Nuclear and Radiological Event Scale) e allo stesso livello di Chernobyl. Dall’altra la Nuclear Regulatory Commission (Ncr) degli Stati Uniti, che ha dichiarato che la quantità di radiazioni fuoriuscita dalla centrale sarebbe pari al 10% di quella di Chernobyl. Per fare chiarezza, Ilsussidiario.net ha intervistato Alessandro Clerici, uno dei più noti esperti italiani in materia, con una lunga esperienza nella ricerca industriale e attualmente Presidente del gruppo di lavoro internazionale del WEC (World Energy Council) “Risorse energetiche e tecnologie” e Coordinatore Task Force Energy Efficiency di Confindustria.



Clerici, davvero Fukushima è paragonabile a Chernobyl?

Osservo innanzitutto che è difficile compiere paragoni di questo tipo, fino a quando l’Agenzia internazionale per l’energia atomica non diffonde un rapporto ufficiale su quanto è avvenuto. Inoltre, esistono alcune differenze significative. In primo luogo, sono state prese delle precauzioni per proteggere la popolazione ben diverse da quelle di Chernobyl. Nel 1986 le autorità sovietiche per cinque giorni non avevano avvisato la popolazione circostante, che di conseguenza era stata colpita da una dose massiccia di radiazioni. In Giappone invece gli abitanti sono stati sgomberati per un raggio di 30 chilometri.



Ma le conseguenze di Fukushima potrebbero essere le stesse di Chernobyl?

Sono tante le variabili di cui occorre tenere conto. Chernobyl ha avuto delle forti conseguenze sulla popolazione circostante, sebbene i morti accertati siano stati in tutto 64. Diverso invece il discorso per quanto riguarda gli effetti di lunga durata. Secondo l’ultimo studio dell’Oms, realizzato giusto poco tempo fa in collaborazione con l’Ue, in Russia, Bielorussia e Ucraina c’è un potenziale che va da 2mila e 4mila morti, supponendo anche che bassissime radiazioni possano creare delle problematiche alle generazioni future.



Usa e Ue dovrebbero fare di più per aiutare il Giappone?

Gli Usa hanno già mandato dei robot e degli esperti, perché il reattore è un reattore americano General electric. Personalmente preferisco non formulare giudizi fino a quando l’Aiea non pubblicherà un resoconto chiaro su quanto è avvenuto, perché ritengo che ci siano anche delle responsabilità per come è stato trattato l’incidente, che sembrerebbe sia stato inizialmente trascurato. Sarebbe stato ritardato il raffreddamento con l’acqua di mare per la paura di rovinare le strutture del reattore e di non poterlo più usare in futuro.

Ma quali sono le motivazioni per le quali la crisi dura da così tanto tempo?

La causa principale è stato lo tsunami seguito da un’onda che è tre volte i cinque metri che erano stati previsti. E che quindi ha allagato tutti i servizi ausiliari e ha eliminato le pompe. Ma le motivazioni risiedono anche nel modo in cui è stata affrontata la situazione. Perché potranno anche emergere delle responsabilità che non sono state affrontate correttamente. Per non parlare del fatto che il reattore di Fukushima è molto vecchio, e che non erano stati fatti degli adeguamenti particolari alla parte del raffreddamento.

Le due scosse successive all’11 marzo hanno avuto un’incidenza significativa?

Sembrerebbe di no, perché si sono limitate a fare fuoriuscire un po’ d’acqua. I problemi in quel caso sono soprattutto due: quelli al reattore e quelli alle piscine dove si trova il combustibile spento che deve essere a sua volta raffreddato. E che quindi è conservato all’interno di piscine d’acqua che lo raffreddano, ma dalle quali sembra ci siano state delle emanazioni. E sembrerebbe che in seguito a una delle onde fosse sceso del 30% il livello di uni di questi depositi temporanei del combustibile.

Si può pensare ancora al nucleare come a un’energia sicura?

Dipende ovviamente da come la si affronta. I giapponesi avevano preso delle precauzioni che ritenevano fossero sufficienti, ma forse più che coraggiosi erano stati un po’ temerari. Costruire centrali nucleari in una zona soggetta a terremoti come il Giappone non è stata una delle scelte più felici. Se quindi la sicurezza assoluta non esiste, in situazioni che non presentano particolari problemi di sismicità, il nucleare può essere considerato un’energia con un rischio accettabile.

E questa sua affermazione vale anche per l’Italia?

A essere a rischio sismico non è l’intera Italia, ma solo una parte. La Pianura padana è una delle strutture sedimentarie più solide, tanto è vero che una centrale era stata messa a Caorso. Bisogna aspettare che siano tratte tutte le dovute conclusioni e chiaramente sia per i reattori in esercizio che per quelli futuri, bisogna ripensare a delle norme di sicurezza tali che tengano conto anche di eventi con bassissima probabilità. Aumentando quantomeno le norme di sicurezza, sia modificando e implementando i reattori vecchi, sia costruendo quelli nuovi con criteri più stringenti.

E in che modo le regole possono essere adeguate a quanto è avvenuto in Giappone?

La Ue sta definendo appunto queste nuove regole. Dopo 40 o 50 anni, i reattori saranno dismessi, e questo impatterà notevolmente sull’estensione della vita di quelli vecchi. Negli Usa c’è già un 65% dei reattori cui è stato estesa la vita da 40 a 60 anni, e lo stesso provvedimento è in arrivo anche per altre 35 centrali. Occorrerà quindi entrare di più nel dettaglio per vedere quali garanzie di sicurezza richiederà questa estensione della vita. Per quanto riguarda invece i nuovi reattori, andranno definite sia le garanzie sul luogo dove saranno messi, in base al rischio di sismicità, alluvione e altri eventi simili, sia sulle probabilità di eventi eccezionali che potrebbero capitare e che potrebbero suscitare anche un incidente. Con i reattori di terza generazione, anche in caso di fusione del nocciolo all’esterno non si hanno fuoriuscite. C’è una probabilità di 10 alla meno 8, cioè una su 100 milioni, che possa fuoriuscire qualcosa. Mentre per le centrali come Fukushima la probabilità è di un caso su 100mila.

 

(Pietro Vernizzi)

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