Su Facebook il suo secondo nome era “Utopia”. Forse per esprimere meglio il suo disagio nel fragile lembo di terra in cui da qualche tempo aveva deciso di vivere. Attivista per il popolo palestinese in un pezzo di mondo in cui – lo abbiamo scoperto in questi giorni – anche identificare un nemico può essere difficile.
Il rapimento e la morte per soffocamento di Vittorio Arrigoni porta sotto i riflettori dell’intera opinione pubblica una realtà che fino a oggi era, ai più, sconosciuta.
I salafiti, imputati per l’omicidio del volontario italiano, sono un gruppo ultraradicale da sempre in contrasto con Hamas. Gli ultimi scontri si sono verificati nel 2009, quando il movimento estremista cercò di instaurare un califfato a Gaza. Il tentativo venne immediatamente stroncato, ma costò la vita a 25 persone. All’origine del conflitto interno alla striscia la volontà dei salafiti di instaurare un regime teocratico che si fondi sui principi originali dell’Islam. Questo dovrebbe essere sufficiente a spiegare anche una morte così inaspettata.
Eppure l’episodio di qualche giorno fa, con le poche luci e le molte ombre, porta con sé una serie di dubbi che dovrebbero farci camminare nel terreno delle ipotesi con piedi più pesanti del piombo. Tutti, nessuno escluso. Per tre ragioni.
Primo: Arrigoni è morto, di fatto, poche ore dopo l’inizio dell’ultimatum, senza che i presunti omicidi avessero cercato un riscontro – anche minimo – rispetto alle richieste di liberazione dei prigionieri presentate ad Hamas.
Secondo: la morte non è avvenuta in diretta televisiva. Anche questo punto è controverso. Dei salafiti si conosce poco, è vero. Sappiamo però che sono da sempre affiliati ad Al-Qaeida. Ed è difficile ipotizzare che la longa manus di questi esibizionisti signori della morte abbia perso un’occasione così ghiotta per mostrare a tutti i media l’efferatezza della loro crudeltà.
Terzo e ultimo punto: a Gaza è impossibile entrare in un supermercato e fare la spesa senza che Hamas non lo venga a sapere. Fuor di metafora, il controllo sulla striscia da parte del governo è pressochè assoluto. E Arrigoni, che era molto vicino al movimento, aveva avuto da tempo la garanzia di una completa protezione. All’improvviso però viene rapito, e dopo qualche ora – senza la minima interferenza – viene ucciso brutalmente con una corda metallica. Poco dopo il portavoce di Hamas in doppiopetto si rivolge alle principali televisioni del mondo e durante la conferenza stampa punta il dito contro gli “estremisti”: “Li abbiamo già arrestati”, dice. E con le stessa rapidità con cui i suoi compatrioti miliziani hanno catturato gli assassini, precisa: “Noi non siamo estremisti, quello che è avvenuto è contrario ai nostri valori”. Fine della storia. I buoni hanno già fatto giustizia sui cattivi.
Ma chi ha ucciso Arrigoni? Siamo sicuri si tratti solo di una cellula impazzita riconducibile ai salafiti? O forse si è trattato di un gesto che ha permesso agli esponenti di Hamas di presentarsi come “i nuovi gentiluomini della striscia”? In giacca e cravatta, sorridenti davanti alla stampa, pronti a far la pace con tutti tranne che con Israele? Staremo a vedere. Certo che a volte è anche l’abito a fare il monaco.