La Rosalia D’Amato, una imbarcazione italiana facente parte della flotta Perseveranza Spa, è stata sequestrata dai pirati nel Mare Arabico. A bordo ci sono 22 uomini di equipaggio di cui sei di nazionalità italiana. La nave era partita dal Brasile diretta in Iran quando è stata assalita e sequestrata. Nelle vicinanze si trova una imbarcazione militare turca della missione internazionale Atlanta che segue la situazione. L’attacco è avventuro alle 4.50 del mattino: un paio di barchini hanno sparato verso la nave e quindi i pirati sono saliti a bordo. E’ solo l’ultimo caso di una realtà che dura ormai da anni, quella degli attacchi pirati a imbarcazioni commerciali. Per la liberazione degli equipaggi vengono chiesti riscatti di molti milioni di euro. IlSussidiario.net ha intervistato in esclusiva il dottor Carlo Biffani, direttore generale di Security Consulting Group, per chiedere un approfondimento su questa problematica.



E’ possibile identificare una zona particolarmente a rischio dove avvengono in modo più frequente questi assalti?

No, non esiste più una zona geografica sola che si possa definire a rischio. Questi pirati hanno ormai messo a segno talmente tanti colpi, parlo di detenzione al momento di almeno 700 marinai come ostaggi e di centinaia di sequestri effettuati, che ha permesso loro di ricavare talmente tanto denaro da essere diventati una realtà pericolosa su larghissima scala. Si può dire che tutta la zona che parte dall’interno del Canale di Suez, arriva a toccare le coste dell’India e poi quelle del SudAfrica, in pratica quasi tutto l’Oceano Indiano, è zona a rischio pirateria.



Si tratta di bande singole o siamo davanti a una struttura organizzata?

E’ una struttura organizzata. Ci sono persone che reggono le fila di tutto questo con sedi a Dubai e a Londra. Sul luogo c’è naturalmente la manovalanza pura, ma quando si tratta di versamento del riscatto, arriva tutto a questi signori che reggono le fila della pirateria. Si tratta di organizzazioni al momento ancora abbastanza indefinite e difficili da localizzare.

Esiste una missione militare internazionale di protezione…

Sì, si tratta della missione Atlanta a cui partecipano decine di marine militari internazionali. Tutto è cominciato quando l’ONU, anni fa, mise in atto un piano di soccorso per la popolazione della Somalia con l’invio di navi cariche di derrate alimentari e altro materiale. Vennero subito assalite da pirati. Si cominciò a mandare navi militari per proteggere la missione dell’ONU, poi assistemmo all’escalation della prateria che iniziò ad attaccare ogni tipo di nave mercantile che passava da quelle zone. Di fatto, la missione militare Atlanta si è però dimostrata insufficiente a risolvere il problema. Il mare è troppo grande perché le navi militari possano controllarlo tutto, e la spesa per un’azione davvero efficace sarebbe enorme e impensabile da affrontare.



Che alternativa c’è per una possibile soluzione del problema?

Bisognerebbe puntare sui privati, aprire a risorse private, come ha fatto la Spagna che è riuscita a risolvere il problema. La Spagna subiva pesanti attacchi ai propri pescherecci di alto mare, fino a quando è stato messo in atto un sistema di protezione ravvicinato, cioè imbarcazioni armate che sono state in grado di respingere gli attacchi dei pirati.

Come è possibile che dei gommoni con poche persone possano prendere il controllo di enormi navi merci con decine di persone a bordo? I marinai delle navi mercantili possono difendersi con armi?

I marinai a bordi delle navi attaccate possono solo alzare le mani e arrendersi. I pirati arrivano sparando con armi da guerra. Si è detto spesso che non bisognava reagire a questi attacchi perché ciò avrebbe portato a una escalation della violenza, ma siamo già arrivati al livello massimo di escalation dato che questi pirati arrivano già sparando con potenti armi da guerra. E’ fuorviante raccontare che chi è a bordo debba difendersi: i marinai non possono farlo, deve farlo personale addestrato appositamente all’impegno militare, personale qualificato. E dire che se ci fosse una reazione da parte di personale a bordo porterebbe a un’azione ancor più violenta dei pirati è sbagliato anch’esso, perché siamo già al livello massimo di violenza che i pirati possono mettere in atto.