Se un fiore può fare paura a un regime. Le autorità cinesi hanno bandito il gelsomino da Internet in tutte le sue forme, dalla semplice parola fino a un video del presidente cinese che cantava una antica canzone dedicata alla pianta. Perché?

E’ tutta colpa dei tunisini. Da quando, lo scorso gennaio, il popolo della Tunisia scese nelle piazze per cacciare il presidente Zine El Abidine Ben Ali, la loro rivolta venne battezzata “la rivoluzione del gelsomino”. Quasi in contemporanea a quanto succedeva in Nord Africa, infatti, qualcuno in Cina cominciò ad invocare anche lì una rivoluzione del gelsomino. Era febbraio e sulla Rete cinese cominciò a circolare la richiesta di una rivoluzione al gelsomino cinese. La risposta delle autorità fu immediata: cominciò una autentica caccia al gelsomino. Ma perché i tunisini scelsero proprio questa pianta come simbolo della rivoluzione?



Da sempre, il fiore è simbolo della purezza. E da sempre, le rivoluzioni sono spesso associate a un fiore. dalla famosa formula degli hippie negli anni sessanta che invitavano a “mettersi un fiore nei capelli” fino a “mettere un fiore nei vostri cannoni”, il fiore è stato associato alla ribellione. In Portogallo nel 1974 ci sarebbe stata la rivoluzione dei garofani; nella Georgia ex sovietica quella delle rose mentre in Kirghizistan nel 2005 quella dei tulipani. Spesso si sceglie il fiore che è maggiormente presente in quello specifico paese. 



Il gelsomino da sempre è considerato “il fiore dei fiori”, amato già dagli antichi egizi ai tempi dei faraoni. Il gelsomino esprime amabilità e sensualità ed è presente in due tipi, quello bianco e quello giallo. Il primo è simbolo della timidezza, da regalare quando non ci si vuole esporre troppo, simbolo comunque di affetto. Quello giallo invece rappresenta gentilezza, candore, eleganza e nobilita. Tutti simboli perfetti per una rivolta contro il grigiore del potere dittatoriale. In più il gelsomino è il fiore tipico della Tunisia: lo si vede infatti molto spesso nelle campagne turistiche promozionali. A inventare lo slogan “rivoluzione del gelsomino” fu un giornalista tunisino, Zied El Hani, noto per la sua lunga lotta al regime. Il 13 gennaio mise online sul suo blog un testo intitolato “rivoluzione del gelsomino”.



I dirigenti del partito comunista al potere in Cina appena hanno collegato il messaggio dell’ignoto internata a proposito dei gelsomini con la rivoluzione tunisina, si sono immediatamente allarmati e mobilitati- Sia mai che scoppi una rivoluzione anche nel paese della rivoluzione. Di fatto in Cina a diversi mesi dalla rivoluzione tunisina non si registra alcun atto di ribellione, se non atti di repressione messi in atto dal regime di propria iniziativa, come l’arresto dell’artista Ai Weiwei. La parola gelsomino intanto è proibita su Internet: se provate a scriverla, non ci riuscirete. Spariscono anche ogni tipo di video dove il gelsomino gioca una parte. L’esempio più clamoroso è quello relativo all’attuale segretario del partito comunista cinese, Hu Jintao, di cui esisteva un video che lo filmava intento a cantare la canzone popolare cinese “Mo Li Hua”, dedicata appunto al gelsomino. 

Si tratta di un canto risalente alla dinastia Qing che dimostra quanto il gelsomino faccia parte della storia e della cultura cinese. Quelli infatti che soffrono maggiormente le conseguenze di questo bando del gelsomino sono i contadini della regione del Daxing, un distretto rurale non lontano dalla capitale Pechino. Da quando la polizia ha ordinato la messa al bando della vendita del fiore, i prezzi sono crollati e loro rischiano la crisi totale. Le autorità hanno anche organizzato una riunione con i principali venditori di fiori per avvertirli di non osare più vendere gelsomini fino a nuovo ordine. A loro è stato spiegato in modo vago e impreciso che fare ciò avrebbe potuto dare vita a una sorte di ribellione, ma la maggior parte dei cinesi si sta ancora domandando perché non posano più vendere o comprare piante di uno dei loro fiori più amati.