Ieri Benedetto XVI è tornato a far sentire la sua voce e ha rivolto un «pressante appello perché la via del negoziato e del dialogo prevalga su quella della violenza, con l’aiuto degli Organismi internazionali che si stanno adoperando nella ricerca di una soluzione alla crisi». un appello rivolto non solo agli attori della crisi libica, ma anche alla Siria, «dove è urgente – ha detto sempre Benedetto XVI a conclusione del Regina coeli – ripristinare una convivenza improntata alla concordia e all’unità».
A richiedere una legge contro le discriminazioni dei cristiani in Egitto, a partire dall’assegnazione dei posti di lavoro nel settore pubblico, è Michael Meunier, presidente dell’US Copts Association, la più importante associazione dei cristiani egiziani nel mondo. Per Meunier, tornato nell’Egitto liberato dalla dittatura dopo decenni di esilio nell’era di Mubarak, «l’odio settario rischia di portare il Paese a una guerra civile come nel Libano degli anni ’70. Il Consiglio Militare al potere lascia sempre più spazio, politico e mediatico, ai rappresentanti del fanatismo religioso, e molti cristiani stanno fuggendo dall’Egitto». Anche se Meunier aggiunge di ritenere che «il dialogo tra cristiani e musulmani è possibile, siamo fratelli e sorelle vissuti gli uni accanto agli altri per secoli, e la maggior parte degli islamici egiziani sono moderati. Ma la minoranza estremista sta alzando sempre di più la voce».
Meunier, partiamo da lei. Perché ha deciso di tornare dagli Stati Uniti in Egitto, proprio in un momento di grandi tensioni come quello attuale?
Negli ultimi tre anni sono stato in Egitto sempre più spesso, e da quando è iniziata la rivoluzione e il regime di Mubarak è caduto, ho scelto di ristabilirmi in modo definitivo nel mio Paese d’origine. Il mio obiettivo è cercare di educare i copti, rafforzando la loro partecipazione e la loro mobilitazione politica e organizzandola in modo da rendere il loro impegno sempre più efficace. I cristiani devono infatti integrarsi sempre di più nella vita politica e nel governo egiziano.
Ritiene che gli scontri religiosi possano portare a una guerra civile come in Libano?
E’ possibile, esiste un grosso rischio che ciò possa accadere, e che le violenze settarie estendendosi e aumentando arrivino a peggiorare l’intera situazione. E se i militari al potere non riusciranno a intervenire in modo rapido e giusto, questo può portare a una guerra civile.
E’ vero che dopo la caduta di Mubarak molti copti stanno lasciando l’Egitto?
C’è molta pressione in questo momento, e i copti che stanno fuggendo dal Paese sono numerosi. In Egitto ultimamente c’è molta violenza e un incremento dell’estremismo islamico, i cui effetti sono amplificati da una mancanza di azione da parte della polizia e del governo. Questo rende numerose persone preoccupate e spaventate, e la situazione si sta facendo via via più difficile.
Ci sono anche degli copti che, come lei, stanno tornando nel Paese d’origine?
No, penso proprio di essere l’unico. I copti stanno fuggendo, molti di loro sono spaventati e preoccupati per le loro vite, i loro beni e le loro famiglie. Io sto facendo il possibile per calmarli e mi auguro che il Consiglio Militare prenda delle misure per inviare un messaggio chiaro, affermando che l’Egitto è un Paese sicuro, in modo che i cristiani rimangano e partecipino alla transizione politica.
Il dialogo tra cristiani e musulmani in Egitto è possibile?
Il dialogo è possibile, siamo fratelli e sorelle vissuti gli uni accanto agli altri per molti secoli e la maggioranza dei musulmani egiziani non sono dei fanatici. L’attuale problema è che gli elementi fanatici stanno alzando la voce sempre di più, incrementando così la tensione da entrambe le parti. La nuova situazione sta preoccupando gli stessi musulmani moderati. Ma la domanda cui è più difficile rispondere è perché il Consiglio Militare non si stia impegnando per risolvere questo problema. Al contrario, i militari stanno dando voce ai fanatici, concedono loro spazio sui media e facile accesso alle risorse del governo. E questo crea nella gente l’impressione di trovarci già in uno Stato islamico.
Ma qual è il motivo di questo comportamento del Consiglio Militare?
E’ la domanda che si stanno ponendo tutti. Personalmente ritengo che questa applicazione sbagliata del concetto di democrazia sia un errore di valutazione, o un segno di debolezza. Escluderei che il Consiglio Militare sia mosso da cattive intenzioni, anche perché sta gestendo una situazione e un compito oggettivamente difficili. Ma non li stanno affrontando nel modo giusto, probabilmente per la paura di essere visti come l’esercito che spara al suo popolo. Ma quando hai a che fare con dei fanatici, o dei criminali, non ci sono possibili scappatoie: devi applicare la legge.
Quali sono le riforme più urgenti per dare ai copti uguali diritti?
Il primo problema riguarda la costruzione delle chiese, per consentire apertamente anche ai cristiani la realizzazione di nuovi edifici di culto. Inoltre abbiamo bisogno di una legge per garantire piena cittadinanza e uguaglianza tra gli individui e fermare le discriminazioni. Soprattutto sul lavoro i copti sono molto discriminati, e in particolare nel settore pubblico i loro diritti non sono garantiti. Il governo deve inoltre compiere degli sforzi massicci sul piano educativo, sia nelle scuole primarie sia in quelle secondarie, per insegnare la tolleranza, i diritti civili e la libertà. C’è ancora un grande lavoro da compiere, prima che i copti possano dirsi cittadini egiziani a tutti gli effetti.
Come si organizzeranno i copti in vista delle elezioni di settembre?
Presenteranno dei loro candidati nei partiti di ispirazione democratica, insieme agli esponenti musulmani moderati. Ritengo però che sia prematuro tenere le elezioni in settembre, andrebbero quindi rimandate. Prima il Consiglio Militare deve riuscire a garantire la sicurezza del Paese, altrimenti prevarranno le forze più fanatiche. Tutti stanno chiedendo al Consiglio Militare di rimandare le elezioni, ma quest’ultimo ha deciso di tenerle ugualmente in settembre. Neanch’io riesco a capacitarmi dei motivi di questa decisione.
Ayman Nour, numero uno di Al Ghad, ha affermato che «il problema dei copti deve restare un affare interno, non vogliamo che altri interferiscano nelle nostre questioni». Lei cosa ne pensa?
La libertà religiosa non è mai una questione interna, bensì una responsabilità dell’intera comunità internazionale. Non vogliamo ovviamente un esercito che venga da fuori e occupi l’Egitto, ma potremmo avere bisogno di aiuto nella soluzione dei conflitti oltre che di sostegno finanziario, in quanto la disoccupazione ha raggiunto livelli molto elevati. Quando le chiese sono bombardate e i cristiani uccisi, non ci si può limitare a dire: «E’ una questione interna, non interferite». Basta vedere quello che è successo in occasione dei genocidi in Rwanda o in Kosovo, per comprendere che la comunità internazionale non può derogare ai suoi doveri. E quindi, finché il governo egiziano non sarà in grado di affrontare da solo questi problemi, qualsiasi «interferenza», purché non violenta, sarà la benvenuta.
(Pietro Vernizzi)