«I gruppi salafiti continueranno a cercare di organizzare attentati terroristici anche dopo l’uccisione di Osama Bin Laden». Anche perché a dimostrare il seguito ideale che Al Qaeda continua a esercitare in Medio Oriente è stata «la disgraziata uscita di Hamas, che si è detta dispiaciuta per l’uccisione di Bin Laden», dando voce così a una parte non trascurabile dell’opinione pubblica palestinese. Ad affermarlo è Michael Herzog, Brigadiere Generale della riserva dell’esercito israeliano, International Fellow del Washington Institute for Near East Policy, e che scrive spesso sul quotidiano Haaretz. Ilsussidiario.net ha intervistato l’esperto israeliano sugli scenari che si aprono nello Stato di Israele dopo la scomparsa del numero uno del terrorismo internazionale.
Fino a che punto l’uccisione di Bin Laden cambierà la situazione nello Stato di Israele?
Non penso che la situazione dopo la morte di Bin Laden sarà significativamente diversa per Israele. Se da una parte è un bene per il Medio Oriente che Osama Bin Laden, un simbolo per gli elementi più estremisti, sia stato levato di mezzo, d’altra parte il centro delle sue attività non era Israele, ma piuttosto gli Stati Uniti e l’intero Occidente.
I salafiti sono stati sconfitti, o il loro numero continuerà ad aumentare?
E’ un grave colpo per tutti i salafiti, ma non posso definirla una sconfitta, perché negli ultimi anni Bin Laden non controllava attivamente tutte le iniziative dei gruppi affiliati ad Al Qaeda. Probabilmente la sua era una sorta di ispirazione, ma non conduceva le attività. Era diventato soprattutto un simbolo per quei gruppi che a Gaza si identificano con Al Qaeda, come quelli che di recente hanno ucciso Vittorio Arrigoni. Per questo, i salafiti continueranno ad agire e potrebbero anche cercare una vendetta per l’eliminazione di Bin Laden, organizzando di loro spontanea iniziativa delle nuove attività estremistiche.
A quali attività si riferisce nello specifico?
In primo luogo, possono destabilizzare la situazione. Inoltre, sono in grado di realizzare degli attentati terroristici, sia da Gaza contro Israele sia da Gaza al Sinai, oltre a cercare di attaccare Israele dal Sinai. I salafiti lo hanno già fatto in passato, e si tratta degli stessi gruppi che hanno ucciso Vittorio Arrigoni. Nel 2006 avevano realizzato un attentato terroristico contro i turisti di Sharm el Sheikh, nel corso del quale erano rimaste uccise circa 90 persone. Quindi sono pericolosi e in grado portare avanti altri attacchi terroristici letali.
Quali sono esattamente i rapporti tra Al Qaeda e i salafiti?
I gruppi salafiti di Gaza sono affiliati ad Al Qaeda, nel senso che si identificano con Al Qaeda e con ciò che questa sigla rappresenta. Ma non esistono prove sul fatto che ci sia un collegamento anche da un punto di vista pratico. Prima dell’11 settembre nelle strisce palestinesi, e non solo a Gaza, esistevano già alcuni movimenti salafiti minoritari. Negli ultimi anni si sono rafforzati, mentre in precedenza erano solo delle piccole minoranze e non avevano un impatto sulla strada. Oggi però hanno assunto una presenza più significativa a Gaza, perché il governo di Hamas ha aperto le moschee e questo ha consentito ai salafiti di diventare più attivi.
Che cosa ne pensa della decisione di Hamas di condannare l’uccisione di Bin Laden?
E’ stata veramente un’uscita disgraziata. Quando il primo ministro Ismail Haniyeh si è espresso su Bin Laden, ha dato voce ai sentimenti popolari che è possibile trovare nelle strade di Gaza. Ritengo però che questo sia stato molto inopportuno, soprattutto nel momento in cui Fatah e Hamas stanno negoziando il patto di unità nazionale. Questa affermazione su Bin Laden rende ovviamente impossibile, sia in Israele sia in qualsiasi altra parte del mondo, il fatto di accettare Hamas come un partner affidabile. E’ chiaro infatti che Hamas non sostiene la pace, ma appoggia Bin Laden.
Fino a che punto arriva questo sostegno di Hamas a Bin Laden?
E’ un sostegno a livello simbolico. Su un piano pratico, Hamas ha portato avanti diverse attività contro Israele, ma è sempre rimasto distinto da Al Qaeda, con cui non era legato da un punto di vista organizzativo. Dicendosi dispiaciuto per Bin Laden e definendolo «un combattente per l’Islam», ha quindi espresso un sentimento per un simbolo.
Fino a che punto questo sentimento è condiviso dalla maggioranza dei palestinesi?
Le reazioni tra il popolo palestinese sono state miste. Da una parte la stampa palestinese e la gente comune hanno espresso soddisfazione per il fatto che Bin Laden sia stato eliminato. Al contrario dei gruppi più estremisti che hanno manifestato il loro dispiacere, e tra questi abbiamo visto che c’era Hamas.
Perché Bin Laden è un simbolo positivo per alcuni palestinesi?
Perché rappresenta la resistenza contro l’egemonia occidentale e in particolare americana. C’è una linea di pensiero, secondo cui per molto tempo la comunità internazionale e soprattutto gli Stati Uniti hanno imposto se stessi al Medio Oriente, e lo starebbero facendo tuttora. Ci sono diverse ragioni per cui alcuni palestinesi sostengono Al Qaeda, e se anche rifiutano i suoi metodi, pensano comunque che rappresenti qualcosa di positivo. E questo è anche il motivo per cui dopo l’11 settembre in alcune aree dell’Autorità palestinese ci furono persone che danzavano ed esprimevano la loro gioia per gli attentati.
La morte di Bin Laden è un segnale che gli Usa possono avere la forza di imporre la pace a israeliani e palestinesi?
Sono scettico sul fatto che gli Stati Uniti possano realmente imporre la pace. Gli Stati Uniti sono ancora una superpotenza e lo Stato più forte a livello internazionale. Ma non lo sono abbastanza da poter realmente costringere entrambe le parti ad accettare un piano di pace, a meno che queste non lo vogliano. Tanto è vero che non sono sicuro del fatto che gli americani vogliano proporre un loro piano: so che ne stanno discutendo, ma lo faranno solo se riterranno che questa loro iniziativa possa produrre risultati efficaci.
Come valuta il tentativo di accordo tra Hamas e Fatah?
E’ un matrimonio di convenienza. Hamas è preoccupata, ma ci sono tre ragioni per cui ha accettato di firmare il documento. In primo luogo, questo è ciò che la maggioranza dei palestinesi domanda oggi. Inoltre, sente il governo egiziano molto più favorevole nei suoi confronti, mentre in passato temeva che Mubarak stesse tendendo una trappola. Infine stanno giocando un ruolo anche gli eventi in Siria. L’ufficio politico di Hamas si trova infatti in Siria, e il partito palestinese ha paura di perdere l’appoggio di Damasco, come conseguenza delle rivolte. Per tutte queste ragioni hanno accettato la riconciliazione.
Ma ritiene che il piano di unità nazionale avrà successo?
Sarà impossibile per Fatah e Hamas riuscire a ricomporre le differenze fondamentali che li contraddistinguono, trasferendo questo accordo in una realtà sul territorio. Questo non significa che non manterranno un’unità di facciata per alcuni mesi. Ovviamente il fatto che Hamas pubblicamente abbia espresso dispiacere per Bin Laden penso che imbarazzi le autorità palestinesi e mostri ancora di più queste differenze. Ma la vera difficoltà per i palestinesi è arrivare davvero a una sola autorità, una sola legge e una sola forza dell’ordine. Per ora la realtà non è questa e sono scettico sul fatto che lo diventi in futuro.
(Pietro Vernizzi)