«Osama Bin Laden è stato ucciso, ma il Binladenismo è ancora vivo. I festeggiamenti di questi giorni non dovrebbero farci ripetere lo stesso errore sulla morte di Bin Laden che in molti in tutto il mondo hanno compiuto durante la sua vita: esagerare l’importanza Osama come individuo e di Al Qaeda come istituzione». Ad affermarlo è Rami G. Khouri, editorialista ed ex direttore del «Daily Star Lebanon», il più diffuso quotidiano in lingua inglese pubblicato in tutto il Medio Oriente, nonché direttore dell’Issam Fares Institute of International Affairs dell’Università Americana di Beirut. Cristiano ortodosso, già premiato da Pax Christi per il suo impegno a favore della pace in Medio Oriente, Khouri ha la cittadinanza di tre Paesi, Stati Uniti, Palestina e Giordania, anche se vive in Libano. Ilsussidiario.net lo ha intervistato a partire dal suo editoriale pubblicato sul Daily Star.



Dopo la morte di Bin Laden, i gruppi terroristici islamici si sbanderanno o continueranno a colpire?

I gruppi della galassia del Binladenismo sono ancora pericolosi. Che cosa siano ancora in grado di fare e quali siano i loro progetti, nessuno è in grado di prevederlo. Ma certamente rappresentano ancora una vera minaccia. E può darsi che alcuni di loro, in seguito alla morte di Bin Laden, decidano di intraprendere nuove azioni, incrementando così i pericoli che esistevano già in precedenza.



Qual è la vera natura di questi gruppi terroristici?

Bin Laden ha lasciato dietro di sé un’eredità di tanti piccoli movimenti settari che consentono a dei giovani scontenti, disorientati e sfiduciati di trovare un potenziamento di sé attraverso la comunità e una ragione di vita attraverso campagne terroristiche. Il tutto giustificato da una lettura follemente distorta dei testi e delle tradizioni islamiche.

Ma qual è la presa che questa ideologia esercita sulla maggioranza dei musulmani?

I terroristi sono poco numerosi, e la maggior parte delle persone nel mondo arabo li rifiutano. Il Binladenismo quindi è un fenomeno «di nicchia», con cui la società civile musulmana non ha nulla da spartire. Queste minoranze invece seguono il modello di Osama cercando di uccidere, come purtroppo abbiamo visto. Non ci sono quindi sostanziali differenze tra la natura del Binladenismo in Medio Oriente e in Europa.



Ritiene che la fine di Bin Laden sia stata accelerata dalle rivolte nel mondo arabo?

Sì. In realtà era indebolito già prima che le proteste iniziassero. Ma con l’inizio delle manifestazioni è diventato ancora più evidente che l’ampia maggioranza degli arabi respingevano la sua ideologia e i suoi metodi. Le folle scese in piazza per protestare non erano composte da persone interessate ad attaccare gli Stati Uniti, quanto piuttosto a riformare le loro società, rafforzare la democrazia e migliorare la qualità della vita nei loro Paesi. Questa scelta rappresenta un grandissimo rifiuto dei metodi e del messaggio del Binladenismo.

Ma allora perché il Binladenismo continua a rappresentare una minaccia?

Come ho anche scritto nel mio editoriale, la stragrande maggioranza dei musulmani ha ritenuto che la risposta di Bin Laden fosse insensata. Ma, fatto ancora più importante, una maggioranza palese di arabi, musulmani e cristiani, così come molti altri musulmani di tutto il mondo, ha condiviso le rivendicazioni di fondo e avvertito le stesse ingiustizie sottolineate da Bin Laden. La caratteristica politicamente importante non è infatti il modo con cui Osama Bin Laden ha cercato di perseguire le sue rivendicazioni, ma il fatto che queste stesse rimostranze sono state e rimangono ampiamente condivise in tutto il mondo arabo-islamico. E questo lascia aperta la porta al pericolo che altri Bin Laden si materializzino.

Ma a quali rimostranze si riferisce nello specifico?

Ci sono principalmente tre problemi interconnessi che Al Qaeda ha definito come le politiche predatorie dell’America e dell’Occidente per dominare il mondo islamico con i loro eserciti, le loro economie e le loro culture; l’assalto di Israele ai diritti dei palestinesi, dei libanesi e degli altri arabi, con il pieno sostegno dell’Occidente; e infine la leadership abusiva e non musulmana degli Stati arabi di polizia, che erano supportati in modo strutturale dagli Stati Uniti e dalle altre potenze occidentali.

Quali sono oggi i fattori che possono portare a un rafforzamento di Al Qaeda?

Se guardiamo alla storia di questo gruppo, dobbiamo osservare che il principale catalizzatore della nascita iniziale e dell’espansione di Al Qaeda è stata la presenza di eserciti stranieri nelle società islamiche: i militari sovietici in Afghanistan e quelli americani in Arabia Saudita. E quindi rimuovere gli eserciti americani, britannici e di altri Paesi stranieri dai Paesi a maggioranza islamica potrebbe rappresentare il cardine per la sconfitta e la disintegrazione di Al Qaeda e dei suoi cloni.

Lo stesso discorso vale anche per l’intervento occidentale in Libia?

Probabilmente no, perché l’intervento occidentale in Libia è approvato dalla maggior parte del mondo arabo e della popolazione libica. E’ una situazione completamente differente rispetto a quella degli Stati Uniti in Iraq o dell’Unione Sovietica in Afghanistan.

Ma ritirando gli eserciti occidentali dai Paesi arabi, come si potrà proseguire la lotta al terrorismo?

Ritengo che si debbano combattere i terroristi come se fossero la mafia, dei criminali comuni o dei semplici gangster. Utilizzando quindi i metodi della polizia per trovarli, catturarli, portarli in tribunale e fermare le loro attività. Per sconfiggere il Binladenismo, occorre tenere conto del fatto che è costituito da piccoli gruppi di criminali. Il modo migliore per affrontarli è quindi un’azione capillare della polizia sul territorio. Evitando invece di ingaggiare una guerra regolare invadendo i Paesi arabi con gli eserciti. Perché quando invii i militari in un Paese straniero, crei più nemici di quelli che sconfiggi. La guerra infatti crea disapprovazione nella gente comune e non risolve i problemi, ma sconvolge la vita delle persone, che di solito risponde combattendo e uccidendo gli invasori.

Lei è arabo e cristiano. Come vede il futuro dei cristiani nel Medio Oriente?

Questo non lo so, nessuno può prevederlo. Dipende da troppi fattori in gioco, che nella loro complessità non possono essere controllati. Se le cose si metteranno per il verso giusto, per gli arabi cristiani il futuro sarà felice, altrimenti dovranno abbandonare i Paesi del Medio Oriente. Ma nessuno ha certezze da questo punto di vista.

 

(Pietro Vernizzi)

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