Il 12 giugno 2011 rappresenta un importante turning point nella storia politica della Turchia: il Primo ministro Recep Tayyip Erdogan alla guida dell’AKP ha vinto il suo terzo mandato consecutivo, non ottenendo però quell’incontrastata maggioranza di seggi utile a riscrivere la Costituzione imposta manu militari nel 1982.



Dopo la lunga maratona prelettorale, che nelle ultime due settimane ha visto candidati di tutti i partiti viaggiare in ogni parte del Paese, alla chiusura delle urne l’AKP guadagna il 50% dei voti e 326 seggi, ma nonostante la schiacciante vittoria e la maggioranza all’interno del Parlamento, ogni velleità riformista dovrà scendere a patti con i due partiti all’opposizione, il CHP e il MHP, che con i rispettivi 25% e 13,3% superano la soglia di sbarramento prevista dal sistema turco e si assicurano una buona fetta di rappresentanza politica.



Al potere dal 2 novembre 2002, l’AKP si è dimostrato un partito di grande successo, che è sfociato nell’immensa vittoria delle elezioni generali del 2007 e nella grande riconferma di quest’oggi, marcando il successo della sua leadership. Se con la sua inclinazione conservatrice-democratica Erdogan ha avviato il Paese in una delicata fase di transizione da “repubblica burocratica a quella democratica” in cui la Costituzione del 1982 è considerata il maggiore ostacolo, paradossalmente oggi l’AKP non è riuscito a riconfermare la sua posizione di vantaggio e l’esito favorevole del referendum del 12 settembre 2010 volto ad apportare modifiche a trenta articoli della Costituzione, inclusi quelli che regolano la composizione della Corte Costituzionale e del Consiglio della Magistratura.



Solo pochi seggi in più avrebbero dato al governo il potere di indire una nuova consultazione popolare per cambiare la Costituzione ed avviare il Paese verso un sistema politico presidenziale, ma il Partito Repubblicano, di chiaro orientamento kemalista, ha ritrovato una nuova vitalità sotto la guida di Kemal Kiliçdaroglu che, mostrando una chiara preoccupazione verso il crescente potere di Erdogan, ha basato la propria campagna elettorale sulla difesa dei diritti umani e sulla lotta alle ineguaglianze. Anche la performance del MHP e dei candidati indipendenti contrastano il margine di vittoria dell’AKP: gli scandali e le accuse della campagna elettorale non sono serviti a bloccare la loro corsa e a formare un consistente gruppo parlamentare che rafforzerà la posizione del BDP, il partito curdo.

Nelle file all’opposizione sono forti i timori che le manovre costituzionali possano aprire il varco ad infiltrazioni ideologiche all’interno di organi preposti a salvaguardare il kemalismo e sale la preoccupazione che l’AKP, attestandosi come un attore dominante all’interno del sistema politico, possa ottenere il consenso di qualche candidato indipendente e proporre le tanto attese riforme, avviando il Paese in una direzione ancor più conservatrice e autoritaria.

Nel suo orientamento di moderato islamismo l’AKP nasce come un nuovo partito di centro-destra che vuole ridefinire le relazioni tra lo Stato e la società e marcare il mutamento dell’ideologia della Repubblica di Turchia da un’interpretazione dogmatica del kemalismo ad una concezione multiculturale della Nazione, contribuendo a presentare il Paese come un attore influente sullo scenario globale. Grazie alla sua collocazione geografica e alla direzione di Ahmet Davutoglu negli affari internazionali, la Turchia di Erdogan ha sviluppato buone relazioni con i vicini caucasici, mediterranei e mediorientali, offrendo al mondo arabo un funzionante esempio di democrazia musulmana. Tale approccio ideologico è l’esito della richiesta degli emergenti attori economici e di quelle correnti che, storicamente in favore delle classi medie conservatrici, hanno spinto per arricchire le idee del nuovo partito, tra cui non è da sottostimare la flessibilità delle comunità islamiche locali nell’adattarsi alla nuova realtà urbana della Turchia.

Come il supporto elettorale dimostra chiaramente, dopo otto anni di governo l’AKP è considerato un partito che unifica le masse con l’obiettivo di crearsi un ampio spazio di autonomia nella scena politica e preservare la permanenza al potere. Lo sconcerto riguarda la direzione che imboccherà la Turchia con il nuovo mandato dell’AKP: le dinamiche degli ultimi tempi hanno chiaramente messo in luce tutte le difficoltà del processo di democratizzazione e di adesione all’Unione europea, che tuttavia non hanno evitato a Recep Tayyip Erdogan di istituzionalizzare il proprio controllo politico nello spazio pubblico, perfettamente in linea con la sua ambizione di sostituire Abdullah Gul alla Presidenza della Repubblica.

Quella di domani sarà certamente una Turchia diversa e se davvero abbraccerà ogni cittadino ampliando la sfera di responsabilità del governo nel suo orientamento liberale – come ha affermato il Primo ministro – saranno i fatti a dimostrarlo.